di Maurizio Baiata – 27 Gennaio 2023
“ANCIENT COSMIC TRUTH” è il suo nuovo album: 25 minuti al fulmicotone che colpiscono al cuore e allo spirito. Intervista-Tavola Rotonda per parlare di un Suono che ha radici nel Golfo di Napoli e incrocia il multiverso di Miles Davis e Jimi Hendrix
Louis non canta, ma la voce non gli difetta visto che per stare al passo del suo finissimo napoletano, era confortante il salottino del suo appartamentino a Trastevere, che ci ha ospitato: Louis al centro, io al suo fianco sinistro e, di fronte, il produttore Renato Marengo e il fotografo Mario Coppola, a distanza di registrazione, di scatti e di istanti da ricordare. Era l’Ottobre 2022. Ma ne parlo ora perché il disco è appena uscito e l’intervista, anticipata dal Cinecorriere, appare ora qui nella sua integralità, con la premessa di Renato Marengo.

Dedichiamo molto volentieri uno “Speciale Musica” di Cinecorriere a un incontro con un musicista che potremmo definire di jazz-rock o d’avanguardia, che è anche un noto autore di colonne sonore: Louis Siciliano. La cosa maggiormente interessante è che questo straordinario artista, dopo aver vissuto, studiato e fatto musica in luoghi del mondo fra loro diversi come Napoli (sua città natale), Londra, Los Angeles, Bombay e altre località dell’India, dopo aver “risciacquato panni e partiture” fra Mississippi, Tamigi e Gange, risponde adesso al richiamo del mare del Golfo dove si affaccia il Vesuvio. Così, dopo qualche decennio, Siciliano si immerge nuovamente in quel Centro del Mediterraneo, quella città porosa che ha visto la Sirena Partenope nuotare e cantare… e ha visto bastimenti partire per terre assai lontane e portaerei arrivare cariche di giovanottoni che, fatta la guerra, ogni sera per anni nei vicoli del porto, fra il Maschio Angioino e Bagnoli, cercavano alcool e “signurine” e non esitavano a fare musica con ragazzi “local” come James Senese e Mario Musella, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Bennato, De Simone e Avitabile. E Louis, uomo, compositore e musicista, fa ritorno nel suo mare d’origine arricchito dai tanti suoni da lui raccolti e creati in un instancabile girovagare tra luoghi, etnie e strumenti diversi che fa astralmente convivere nella sua ultima fatica di Suono ed Energia: “Ancient Cosmic Truth” (“ACT”). Un’opera che me lo fa accogliere a braccia aperte – come si fa per ogni figliuol prodigo che ritorna – nel futuro musicale di quel Napule’s Power che mi sta nel cuore. Per questo ho deciso di produrre “ACT”, realizzato per la prestigiosa etichetta Musica Presente diretta dall’illustre critico e musicologo italiano Renzo Cresti, grande amico al quale devo la prefazione di lusso del mio libro “Napule’s Power”. Ed è chiaro anche il perché ho invitato Maurizio Baiata, il collega che come critico tanto stimo sin dai tempi del mitico settimanale musicale Ciao 2001 dove scrivevamo agli albori del Rock, ad un incontro con Louis, con il giornalista Paolo Zefferi e con Mario Coppola, fotografo dalla mirabile sensibilità di immagini di corpi e anime di jazzisti da lui ritratti in tutto il mondo. Questo Speciale dedicato a Louis Siciliano è una lunga e approfondita chiacchierata di musica e dintorni in libertà, che sarebbe stato un reato tagliare e che grazie al web possiamo riportare integralmente. Leggete sin dove potete, ma sono sicuro che, dopo le prime pagine, continuerete a viaggiare insieme a Louis Siciliano e a noi per scoprire…. come va a finire. E vorrete ascoltare “ACT”, un disco che la critica di tutto il mondo sta apprezzando. Renato Marengo

CHE MUSICA È “ANCIENT COSMIC TRUTH”?
Tavola rotonda con Louis, Renato Marengo, Paolo Zefferi, Mario Coppola e Maurizio Baiata. Foto di Mario Coppola
Renato Marengo (introduce): siamo qui per raccontare dell’ultima impresa o avventura musicale di Louis Siciliano, artista poliedrico e polivalente, proveniente da una marea di esperienze delle quali parleremo, costruttive, utili, aggregate a tutto ciò che Louis ha sviluppato, non dispersive, su un unico canale, la Musica, il nuovo nella Musica. Subito, al nostro primo incontro, abbiamo parlato dei “panni sciacquati” nei fiumi del mondo, che sente di dover tornare dove è nato, nel Golfo di Napoli, città che già da giovanissimo Louis avrebbe voluto cambiare. Non la Napoli delle grandi canzoni dei compositori, né quella della tradizione, una Napoli di allora pietistica, delinquenziale, neomelodica, che aveva creato un abisso tra il nord e il resto del mondo, una Napoli vista più per i fatti scandalistici e di cronaca nera e non per le sue grandiose prerogative che, come dice il critico Renzo Cresti, l’hanno resa capitale della musica europea insieme a Parigi. Con Cresti, che ho conosciuto in zona Opus Avantra, grazie alla sua mediazione, lui con la contemporanea, io con la musica del mondo, abbiamo familiarizzato nel fil rouge Napoli-Venezia. Louis era alla presentazione del mio tomo dedicato alla immensa forza del “Suono di Napoli” e ho di getto apprezzato le sue musiche, anche come autore di colonne sonore. Un mondo che al momento sta mettendo da parte per concentrarsi all’universo al quale appartiene: il Jazz. E questo ha una motivazione iniziale, un nome, Wayne Shorter, lo spirito del Jazz-Rock… dico bene, Louis?

Louis Siciliano: Wayne è un maestro zen, e come tutti i maestri non ti dice cosa devi fare. Ho avuto il privilegio di frequentarlo, con la sua famiglia, con la moglie Carolina, e ho subito iniziato a scendere in me stesso. Quel viaggio indicato dai Greci: conosci te stesso.
Ho dovuto adattarmi… un compositore italiano di fine 900… usando la logica del naufrago che mette la lettera nella bottiglia, illudendomi di poter sopravvivere con le colonne sonore, pensando che i film poi avrebbero fatto uscire la mia parte musicale, in realtà io i film li ho disseminati di simboli, di segni… creando musica a multilivelli…
Ma ancora non ero io. E con Wayne ho capito soprattutto che la Verità conta sopra qualunque altra cosa. Ero poco più che un ragazzino, con il mio amico carissimo e scrittore straordinario Franco Cuomo e un giorno Carmelo Bene mi disse: “Ma per te la musica è una questione di vita o di morte?” Ecco, adesso, dopo Wayne, lo è… davvero.
RM: quando ci siamo incontrati… abbiamo detto del tuo rinnovato interesse per Napoli, che forse oggi ti appartiene di più. Quale è il tratto di unione fra il punto dove sei arrivato e questa esigenza di entrare nel futuro del Napule’s Power?
LS: Io sono da sempre a Napoli… la mia Napoli è come la Gerusalemme Celeste di Torquato Tasso… Napoli… tutti i grandi sino a Pino Daniele, James Senese… I mostri di allora, pilastri della nostra cultura. Joe Amoruso, Ernesto Vitolo, Tony Esposito, Gigi De Rienzo, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo… loro sono i nostri tropicalisti come Caetano Veloso, Gilberto Gil, Gal Costa, Chico Buarque… Sai, noi spesso ci dimentichiamo che siamo tutti nel multidimensionale, pensiamo di essere nella dimensione tangibile, ma non esiste solo questa… io a Napoli ci sono sempre, non l’ho mai lasciata… Le sue radici sono profonde e i rami svettano in alto…
(Louis spiega Napoli e Varanasi sul Gange…)
ho collaborato con un fantastico suonatore di shehnai, Ali Abbas Khan che era il nipote di Ustad Bismillah Khan, una leggenda della musica classica Hindustana. Quando inserivo dei vocalizzi all’unisono col mio sarangi in napoletano, lui e tutti gli altri musicisti impazzivano. Che lingua è che lingua è? Dicevano. È il napoletano rispondevo e si illuminavano. Che immenso bagaglio culturale Napoli! La città di Partenope rappresenta nel mondo l’eccellenza: pensiamo all’alta sartoria, ai suoi artigiani, al teatro, alla musica, alla gastronomia. Napoli non è e non può essere “Gomorra”. Il napoletano non è un dialetto ma è una lingua ancora tutt’altro che viva. Mi viene in mente la brigantessa Michelina Di Cesare, le tante donne violentate e giustiziate in pubblica piazza e i briganti che non si identificavano con i Savoia. La Napoletanitudine è dura da sconfiggere! Ed è viva più che mai!
Maurizio Baiata: Eduardo ai giovani talenti napoletani diceva “andatavene”?
LS: Fuitevenne! Era amareggiato il grande Eduardo. Oggi come allora i grandi personaggi che potrebbero dare un forte impulso a Napoli se ne stanno arroccati nelle loro torri d’avorio, mentre i gattopardi continuano a spadroneggiare. Così è se vi pare! Diceva qualcuno, manco a farlo apposta sempre in ambito teatrale.
MB: Gli stessi di “Mani sulla Città” di Rosi?
LS: Sono i figli dei baroni…
MB: Quei baroni di allora rispettavano o no, il fatto che esistesse una napoletanità…
LS: I baroni di quel tempo avevano rispetto perché erano figli di una cultura alta ancora radicata in tutti gli strati sociali…. Alla quale poi si è anteposto il vile denaro, la speculazione, la violenza, i camorristi… La politica è stata a guardare pur di mantenere i propri privilegi.
MB: Eppure grazie alla tua città una guerra vera ha avuto una svolta, raccontata mirabilmente da Nanny Loy nel film “Le Quattro Giornate di Napoli”, che vorrei che tu ricordassi… gli scugnizzi…
LS: Per me… Napoli è e sarà per sempre anarchia di fondo. Multiverso…
RM: Chiamo spesso anche io Napoli la città “porosa”, un termine che viene da grandi scrittori… Rea, La Capria, la città, anziché farsi massacrare, soccombere, nel corso dei secoli ha assorbito tante culture… mentalità sinergica e contaminatrice, ha stemperato le dominazioni, ha acquisito, sino a crearne una nuova, la napoletanità polivalente.
LS: E la musica non è immune, come non ne è immune la cultura… elementi del mondo ebraico… Federico II, la scuola medica che sintetizzava armonicamente mondo cristiano, islamico ed ebraico, l’università napoletana, Adam De La Halle (compositore e poeta francese che visse alla corte degli Angioini, N.d.A.)… l’Ars Nova fiorisce a Napoli… la rabbia della riscossa, detentori di un grande bagaglio, in un tempo in cui la tv ha elevato prima le masse e poi ha distrutto tutto sino ad una Napoli che oggi ha solo immondizia e i grandi, come Pino Daniele, James Senese, Enzo Gragnaniello e grandi poeti della canzone come Carlo Faiello, li ascolta poco… ripeto sempre al mio primo figlio che ha 14 anni che gran parte della produzione musicale italiana odierna è immondizia devastante, ma siamo ancora in tempo ad arginarla…
MB: c’è stato in Italia un grande personaggio del mondo della comunicazione e della musica, che ha sofferto di quanto avete appena detto, Renzo Arbore… lui ha portato fuori… ha dato spazio ai nuovi talenti, coi suoi programmi “Indietro Tutta”, persino “Alto Gradimento”…
RM: Esatto… molti napoletani glielo devono, per questo un capitolo di “Napule’s Power” si intitola “Renzo Arbore… i prodromi”… da giovane Renzo viene a Napoli, da jazzista, un mondo internazionale sano, porta i napoletani a riscoprire, a migliorare le grandi canzoni in stile swing… Peppino di Capri, Bongusto, Il Giardino dei Semplici, Totò Savio, eccetera…
LS: mi solleciti… Renzo Arbore, la sua Orchestra Italiana, è stato un incubatore… di talenti eccezionali, come il grande percussionista Giovanni Imparato…
RM. Che aveva suonato con Eugenio Bennato.
MB: E a “DOC”, ragazzi, ha suonato live Miles Davis!
LS: E Pat Metheny, Dizzie Gillespie, Michael Brecker…
RM: E Gegè Telesforo… ma esistono ancora i padri, va citato il sociologo Lello Savonardo e la sua “Bit Generation”… le nuove tecnologie, i 99 Posse, 24 Grana, Raiz, i giovanissimi ed ecco che arriviamo a te.
LS: Pino, James sono grandi, Eugenio Bennato, Enzo Gragnaniello, Carlo Faiello… A me piace tantissimo anche Piero Gallo e la sua mandolina. Da ragazzo seguivo molto Antonio Onorato, musicista di altissimo livello. E poi due mostri ognuno con le sue caratteristiche: Joe Amoruso ed Ernesto Vitolo. Vedi l’Arte Musicale è un cielo immenso e ognuno di questi artisti sono stelle che brillano. Come fai a dire questo è meglio di quello. Ognuno di loro, di noi è unico e irripetibile!

RM: Roberto De Simone ha rappresentato il recupero della tradizione, ma a Eugenio si deve la transizione, il passaggio, sino ai Musica Nova, dopo le basi… si crea il nuovo, con Tony Esposito…
LS: Credo che oggi si debba lottare strenuamente contro il bluff e la mancanza di verità.
MB: Ascoltando il tuo nuovo disco il mio primo pensiero è stato: la nuova musica deve uccidere questa pessima cultura attuale.
LS: lo sottoscrivo col sangue.
MB. Con i suoi quattro brani, a costituire una suite, che potrebbero diventare due, il tuo album “Ancient Cosmic Truth” è la cosa più straordinaria che a mio avviso sia uscita in Italia negli ultimi anni, o persino da sempre. Ad esempio, rispetto al Perigeo, che adoro, non c’è confronto… a prescindere che siano passati tanti anni dalla loro musica, la tua è molto più avanti.
LS: Io penso di essere anche loro figlio col mio sound. Li ho tanto ascoltati insieme a Napoli Centrale, Weather Report, King Crimson, Popol Vuh, Tangerine Dream, Sun Ra Arkestra, Jimi Hendrix, John Coltrane ovviamente …
MB: Mi sono sempre chiesto perché non abbiano proseguito su quel percorso e si siano fermati: tu hai sofferto quello che hai dovuto soffrire e loro invece hanno rinunciato… Con dei mostri quali Biriaco, Tommaso, eccetera… avrebbero potuto produrre di più rispetto al movimento definito “prog”, che secondo me è stato sterile, perché ha dato poco dal punto di vista della crescita di avanguardie musicali…
LS: Vi racconto questo: Negli USA negli anni 90, ho lavorato nel Queens allo studio 78/88 collaborando con moltissimi rapper americani: Masta Ace, Group Home, RUN DMC. Una sera ero ad una festa qui in Italia, mi presentano uno già famoso… pieno di cocaina, che raccontava che veniva dai ghetti, invece poi scopro che era di una famiglia borghese ricchissima. Ecco, vogliamo riportare l’asse sulla verità, essere veri, oppure finire ingoiati dal maledetto marketing della Tv? I Talent Show hanno massacrato la Musica e i musicisti, in Italia più del resto del mondo, perché l’Italia è un paese “Telecratico”. Chiunque scemo va in Tv viene idolatrato e si crede un padre eterno. A me questa roba mi manda al manicomio…
MB: Quindi escludi che la tua musica possa andare in TV?
LS: La dovrebbe scardinare… Certo se poi si ritorna a fare “DOC” con quella qualità, sarei felicissimo di esibirmi in Tv con la mia band. “ANCIENT COSMIC TRUTH” non so se è un capolavoro, ma è la mia musica, non so se ho fatto meglio o peggio, ma so che dietro di me ci sono ore di ascolto, di studio, dolore, lacrime, gioia, delusioni, soddisfazioni, solitudine ed euforia. C’è la mia vita. Tutta! Nel bene e nel male. Dobbiamo dire ai ragazzi: non credete nell’immondizia. In chi investe in qualcuno che dice di venire dalla strada e ha il papà industriale… quello lì, se lo porti in Queens e al Bronx ha paura della sua ombra. Tette, culi, macchine potenti, catene d’oro sono cose dei ghetti americani… chi è cresciuto a Napoli ha un altro background che non è affatto inferiore anzi… nel mio disco io porto la mia cultura, che alla radice è super napoletana…

RM: Però sei stato in America, in India e a Londra.
LS: Il napoletano è cittadino del mondo e un tempo viaggiava. Mi trovavo in Rajahstan… incontro un napoletano in un posto sperduto, incarnava lo spirito viaggiatore, mai violento, generoso… la Napoli di oggi è una provincia, la politica li tiene in pugno col mangime del clientelismo. “Nulla di nuovo sotto il sole”.
RM: Abbiamo detto del legame con Napoli e delle conseguenze… del come arricchire un lavoro… arrivando fino ai giorni nostri, possiamo parlare di futuro? Cosa è questo tuo nuovo album?
MB: Posso intervenire approfondendo la domanda? Visto che il titolo dell’album è “Ancient Cosmic Truth”, credo che tu veda il futuro compreso in questi tre termini, perché quando dici cosmico è il futuro, è la visione che hai… però come sei riuscito a mettere insieme i tre termini per giungere a una musica che abbraccia tutto?

LS: Dobbiamo fare una premessa. Quando si dice musica si dice Cultura, dobbiamo esserne consapevoli, la musica è l’arte del “qui ed ora” ed ha una capacità medica, curativa, terapeutica.
Nello spirito comune del “genius locii” del tempo, negli anni Settanta, la musica era contestazione politica. Poi sono arrivati gli Ottanta, l’edonismo, il divertimento. I Novanta sono stati gli anni del malessere, vedi i Nirvana…
RM: Vedi anche i 99 Posse, Almamegretta, 24 Grana…
LS: Per il Duemila dobbiamo usare una parolina magica non da sputtanare nel supermercato dell’effimero, che è “Olismo”. Essere olistici. Tutto è collegato, siamo in una realtà quantica. In questo momento non parla Louis, parlano i miei avi, parlano tutti i musicisti prima di me con me…
MB: Stai canalizzando, canalizzi mentre parli?
LS: Certo. Un canale del quale io sono solo un’antenna. L’artista è una antenna, diffonde un segnale che arriva da molto lontano… che attraversa la memoria e si ricollega ai nostri predecessori, agli alberi che sono i primi abitanti di questo pianeta. Madre Natura che rimane il nostro centro in questo incredibile viaggio che chiamiamo vita.
MB: Ma sono entità presenti e immanenti.
LS: Sì. L’artista catalizza tutto il mondo che non si vede. Per esempio a Napoli c’è un importantissimo culto degli avi perché, attraverso quello, tu sei anche la voce di chi non c’è più. Pino Daniele non c’è più, ma è dentro di me. L’ho ingerito e digerito. Come James Senese e tutti i grandi da Gesualdo da Venosa, a Jommelli, Leo, Durante, Mercadante, Cilea, Martucci fino a De Simone.
RM: Un’annotazione utile. Fabrizio Sotti, jazzista, chitarrista e compositore (autore di un eccezionale omaggio a Pino Daniele)… gli americani gli hanno detto che per loro Daniele è un autore che viene eseguito come Gershwin nel Jazz….
(si conversa sulla differenza fra le canzonette e il Napule’s Power)…
LS: Noi siamo nel qui e ora, che esprime anche quello che arriverà… tutte queste energie che vanno anche nel multiverso. Io non sono un fricchettone reduce degli anni ‘60, no, io mi baso sulle avvincenti scoperte del nostro tempo. La fisica quantistica finalmente ha fatto capire a tutti noi che quello che gli Egizi e il mondo vedico avevano scoperto e i sacerdoti conoscevano, oggi è di dominio pubblico. Perché tutti noi come tante pecore dobbiamo avere il vaglio della scienza? Spesso il business si nasconde come il Lupo travestito da Cappuccetto Rosso nella nostra società. Questa scienza bisogna capire cosa è, quali signori la gestiscono, quale lobby la finanzia. Mi posso fregiare di essere amico di un Nobel della Fisica, George Smoot III… col quale ho avuto fitti scambi, e oggi sono consapevole di rappresentare una branca della Conoscenza molto importante che è la Musica, che è la sintesi del Tutto. Nel multidimensionale ci sono tutte le energie che ci circondano, le anime che non si riescono a staccare dal pianeta, perché il nostro sistema delle nascite, e così via, è molto complesso, il Logos in cui siamo, mentre fuori dal nostro logos c’è quello che si chiamano alieni, extraterrestri… Ognuno la interpreta a seconda… ma tutto questo concerto di energie ci attraversa. Siamo parte di una Sinfonia Cosmica e la nostra essenza è Vibrazione. Fa parte di noi e la musica in questo è meravigliosa, sintetizza le formule cosmiche. Nel disco mi riferisco a una vecchia leggenda dei Bambara a cui ho dedicato il primo brano “Bambara Symmetries”, le simmetrie dei Bambara sono dei codici…
MB: Puoi dirci qualcosa dei Bambara…
LS: Sono uno dei primi popoli ad aver abitato nel West Africa… (Louis parla dei Bambara e dei Dogon)… popoli che non conoscevano la guerra… i Portoghesi li hanno massacrati. Noi Europei abbiamo messo l’Africa in ginocchio. Li abbiamo e li stiamo depredando ancora di tutto. Ѐ inutile che i politici adesso facciano finta di arginare la massiccia migrazione che viene dall’Africa. Dopo tutti i danni che il Consumismo ha fatto cosa si aspettano questi geni che abbiamo in parlamento?
La leggenda di un potente faraone egizio che crea un gruppo di sacerdoti custodi delle sacre formule, che non stanno in volumi… no, si trovano nel ritmo e nella danza, la formula, la simmetria tu non la puoi passare solo attraverso lo scritto… e la Cuba di Fidel Castro, gli ho dedicato una poesia letta sulla sua tomba dall’ambasciatore. E Fidel e Che Guevara… io penso anche ad un mondo cosmico, in cui… (Louis parla della musica classica, dei tamburi batá delle cerimonie sacre della santeria)… vengono suonate le simmetrie che agiscono sul nostro sistema cognitivo, che lavora con gli algoritmi. Un grandissimo Artista e Babalawo della Tradizione Yoruba come Giovanni Imparato queste cose fanno parte di lui e frequentandolo me le ha trasmesse un po’ anche a me. Verso Gianni ho un immenso affetto ed una totale riconoscenza. Io due volte al giorno non faccio solo meditazione, ma anche tecniche di ipnosi, che vengono da Jung e dai post junghiani, non solo, ma anche di Ipnosi Quantistica applicata alla musica, per via dei miei studi sul nostro cervello e non è un caso che ho poi partorito MUMEX: Music Multiverse Exploration: A New Cosmology of the Sound perché noi abbiamo certe connessioni, certe sinapsi che il potere da sempre vuole cancellare.

MB: Entrando in “Ancient Cosmic Truth”, partiamo dal primo brano, “Bambara”, appena ho cominciato l’ascolto ho esclamato “azzzz”, annotando questo: dopo un’epica entrata del sax sembra che questi spaccaossa stiano suonando live. Ѐ quello che volevate ottenere, tu assieme agli altri??
LS: Maurizio… questo è importante, è il cuore del mio progetto. Io da sempre sono nel Napule’s Power, la mia radice è quella, si chiama Umanità, Empatia, altrimenti come mi reggo in equilibrio in questo mondo di guerre, di speculazioni, di violenza inaudita. Però c’è anche qualcosa di tangibile e importante in questo album. Dopo 25 anni di lavoro, dopo aver elaborato un metalinguaggio, il MUMEX, che è un modo di vedere quella che noi chiamiamo armonia, lo sviluppo della melodia che viene da Coltrane, in realtà lo zoccolo duro del progetto siamo, ovviamente io, Claudio Romano alla batteria, super napoletano che tutt’oggi vive a Pomigliano d’Arco e Umberto Muselli al sassofono, che Pat Metheny ha definito “l’erede di Michael Brecker”.
Umberto Muselli abita alle porte di Napoli ed è un outsider totale, un puro, mi ricorda tantissimo Massimo Urbani… Un genio totale!
RM: Un Urbani che ricorda Mario Schiano…
LS: Umberto Muselli quando sente odore di “musichetta” dice “io me ne sto a casa, ho i miei allievi”, è un grandissimo didatta, di grande cuore e grandissimo musicista… giocavamo da ragazzini a pallone sulla spiaggia, è una vita che suoniamo insieme, ci conosciamo, ci vogliamo bene, siamo la generazione venuta dopo Gigi De Rienzo, Bob Fix, Ernesto Vitolo, Rino Zurzulo, Joe Amoruso, Tony Esposito, Tony Cercola, Tullio, Pino, James, loro erano più accomodanti, terreni, dal sorriso disincantato, noi siamo quelli incazzati, veniamo dopo le posse: 99 Posse, Almamegretta; ecco, noi siamo quelli che “quando entrano non transigono”… a Napoli si dice “mazzate ‘a cecata”. La nostra musica non ammicca, non fa sconti, non vogliamo piacere. La nostra Musica è una religione senza se e senza ma. Se entra in contatto con noi un musicista americano, uno tipo Steve Coleman, noi siamo a casa, non temiamo niente e nessuno, perché veniamo da ore e ore di musica, di studio, di sessions, abbiamo consacrato la nostra vita come fa un monaco buddhista zen. Non a caso ho detto “wuagliù” voglio chiamare Randy Brecker alla tromba… il fratello di Michael… e Alex Acuna alle percussioni, spina dorsale ritmica dei Weather Report.
MB: Scusa, una domanda, tu hai sentito “Blackstar” di Bowie?
LS: Sì, certo.
MB: E quante volte ci hai pianto su…
LS: Ebbeh, perché anche lì c’è una verità cosmica che lo permea…
MB: Che è proprio quello che io ho sentito nei quattro brani del tuo album… il cui concept, così breve, che in soli sei o sette minuti per ciascun brano riesce a sintetizzare degli universi che fra loro sembrano tutti collegati, il che rientra nel discorso del multiverso. Io consiglierei di ascoltare prima “BlackStar” e poi “Ancient Cosmic Truth” per superare lo scoglio della tristezza…
RM: La malinconia, la saudade…
MB: È qualcosa che va oltre, forse lo può spiegare Louis…
LS: quando si parla di Bowie non si parla di un fesso, quando Platone ci parla di iperuranio, di certe dimensioni, ognuno di questi grandi, lo stesso Yogananda, Aurobindo, ha elaborato un linguaggio, perché siamo in un mondo… finito, dove ci tocchiamo, ci palpiamo, e descriviamo, in un linguaggio che è figlio del retaggio del linguaggio del tempo, un qualcosa che è dell’Infinito, qualcosa che è un paradigma che esiste e dalle grandi scuole iniziatiche è stato chiamato Logos… in quante delle nostre Sacre Scritture si dice In Principio era il Verbo… non era il Verbo, in principio era la Vibrazione…

MB: Non che tu debba immedesimarti in Bowie, ma come lui in “Blackstar” hai fatto la stessa operazione circondandoti di musicisti Jazz… perché?
LS: Perché quando tu sei connesso attraverso il cuore e l’intelletto a questa matrice, un’energia più grande e più forte di noi, è una visione olistica…
MB: E allora soltanto il Jazz è quello che io da sempre definisco “musica totale”…
LS: Quando un navigatore di spazi intuitivi arriva a intuire che questo Logos immanente opera nel mondo in un certo modo, lo declina attraverso la sua arte in determinati modi. Ad esempio György Ligeti, grande compositore, o Jimi Hendrix, lo hanno fatto a proprio modo, e Jimi non era per nulla inferiore a Parker, a Dizzy o a John Coltrane. Sono tutti… sacerdoti, ma anche ingegneri cibernetici, o degli spazi siderali ed è la famosa musica delle sfere della quale parlava Pitagora, qualcosa che è nel Logos e che tu capti e a cui cerchi di dare forma attraverso gli strumenti che hai, lo ha fatto Johann Sebastian Bach che arrivava da Josquin e da Ockeghem.
RM: Un magnifico titolo, questo “Navigatore di spazi intuitivi”.
LS: Questi argonauti dell’intuizione, come David Bowie, a un certo punto fanno un’operazione fondamentale. Ne parla Huxley: “Se le porte della percezione fossero purificate tutto appare infinito”. Perché due cose sono da sempre fondamentali per l’essere umano, secondo me. Una è la “ruota infinita” (il moto perpetuo) che significa portare la mente in uno stato di vuoto, lavorandoci su tantissimo, e non è detto ci si arrivi pur impegnandosi tutti i giorni ed è un po’ quello che avviene, quando Wayne Shorter suona, quando Coltrane suona, quando io nel mio piccolo faccio le mie cose. La mente diventa la ruota infinita quando non pensi e l’ignoto, l’inconoscibile, la meta da raggiungere.
MB: Che differenza c’è fra “Blackstar” e “Mysterious Traveller” dei Weather Report?
LS: Io sono uno scultore, ricevo un segnale e mi ritrovo a Parigi dove gli elementi di cui dispongo sono legno e cristallo e, con questi, inizio a inventarmi qualcosa. Io invece sono Bowie, mi trovo nel deserto del Sahara o in una savana, devo prendere altri elementi da quello che mi circonda, da mettere insieme e creare. Cambia l’aspetto linguistico, il modo di architettare, tutto ha una struttura e una meta-struttura. Nella prima dominano i linguaggi, il lessico, quindi i Weather Report, Joe Zawinul e Wayne Shorter, con Jaco Pastorius che lavoravano su qualcosa che aveva radici in Miles Davis, il Picasso della Musica. David Bowie invece viene dal teatro cosmico, è uno Shakespeare in musica, c’è molta parola, e il “portare l’astrale nel fisico”, come dice quel genio di Jodorowsky, la montagna è questa qui, ognuno ci può salire da un lato diverso, ma alla cima la realtà è per tutti una.
Le classi sacerdotali poi nell’arco del tempo… hanno dato nomi alle entità, tipica scelleratezza dell’essere umano che dà il nome a tutti, al cane e anche a quella energia. Che invece è un’energia senza nome, né tempo, né spazio, è un’energia che dilaga, quando tu di metti in contatto con essa attraverso il cuore e la devozione, perché tu devi essere devoto non al Buddha, ma al divino che porti dentro. La musica porta questa verità.
Anche uno che ha la terza elementare… ad esempio un Giovanni Coffarelli che si collega non alla Madonna, ma al suo daimon interiore. Davanti a tutto questo, cadono le università, i ceti sociali e ognuno ci può arrivare da una parte della montagna.
RM: Diciamo chi era Coffarelli. Io l’ho conosciuto con Roberto De Simone.
LS: Era un sublime cantatore e maestro della tradizione insieme ad altri grandi come Tonino O’Stock, Zi Sabatino della paranza dello Gnundo di Somma Vesuviana, Zì Giannino O’ Monaco, Zi Tore O’Brutto fino ad arrivare a O’ Lione, Raffaele Inserra, il mio amico Miciariello e suo nipote Enzo. Marcello Colasurdo che sta in ospedale, al quale va un mio pensiero affettuoso. Tutti grandissimi maestri della tammorra.

MB: Hai mai incontrato Franco Battiato?
LS: Tutti mi dicevano che avrei dovuto incontrarlo. Gli avevano fatto avere il mio album “One Vibration” e se ne era innamorato. Dovevamo incontrarci, ma si era ammalato e quindi non è mai accaduto. Ma mi era apparso in un sogno in cui mi diceva “tu sei ALUEI” e io questo l’ho assunto come mio nome d’arte dal 2012 al 2020, 8 anni non casuali…
(Louis fa cenno alle sue esperienze in studio con il produttore Pasquale Minieri e con Sergio Marcotulli, uno dei più grandi ingegneri del suono di tutti i tempi con i quali ha registrato il suo album “ONE VIBRATION” nel 2016)
MB: E invece con Renato?
LS: È stato in un momento in cui mi stavo… chiudendo, Renato mi ha riportato alla mia missione per la musica, ecco, un giovane di quasi 80 anni più entusiasta di un ventenne… Renato è un dono per la Cultura Italiana di oggi. Grazie a Renato in Italia non si è indietro, non si è provincia e si punta sempre in avanti nell’eccellenza. Il NAPULE’S POWER, il movimento che ha fondato è tutt’oggi più vivo e vegeto che mai e nel mondo grazie a Renato la grande musica di qualità che parte da Napoli e ancora recepita con entusiasmo e ammirazione. Napoli gli dovrebbe dare la cittadinanza onoraria. Ѐ un faro culturale!
MB: Il secondo brano, “Translucent Dodecahedron”, da dove arriva? Di tutti i gruppi dell’epoca, intuisco, si sente una derivazione dai King Crimson…
LS: (Ride) Proprio stamattina ho pensato, sul prossimo disco alla chitarra mi piacerebbe chiamare Robert Fripp. Vedremo. Per adesso sono concentrato sul Tour e sulle performances dal vivo che faremo nel 2023.
MB: Meraviglioso. A proposito di “Blackstar” dissi che il gruppo perfetto sarebbe stato Bowie, Fripp e Eno… ma il termine “Translucent” fu usato dai Pearls Before Swine del fantastico poeta Tom Rapp e da te… e i carri semitrasparenti e il dodecaedro da dove arrivano?
LS: Tutto nel mondo è proporzione, numero, struttura. Struttura poi avvinta dallo spirito. Così, anche nella storia della musica, oltre che della struttura, del numero e dello spirito, il 12 è un numero che torna sempre. Spiegazione sintetica: derivano dagli apostoli al flamenco…
MB: Quindi si arriva al blues, molto semplificato rispetto al 12…
LS: Sì, il Blues ha 12 battute… la Buleria, che è uno stile ed una danza nobilissima del flamenco, ha 12 beat. Numerologia e proporzioni che ci richiamano alla dimensione della danza… in Escher hai il dodecaedro, nella cui simbologia c’è qualcosa che appartiene ai nostri archetipi… musica archetipale. Molti negli States l’hanno definita Musica Quantistica. Per me è importante non il linguaggio, ma andare all’origine di questi archetipi e carpire nel profondo il processo che è alla base di tutto.
(Segue una digressione sugli archetipi fra l’esterno e l’interno dell’essere umano. Archetipi Junghiani)
LS: Mi sento intriso profondamente dallo spirito Junghiano che è quello che più si è avvicinato all’India. Io gran parte delle mie vite precedenti le ho fatte in India!
Secondo il Mahabharata, tutto quello che accade e accadrà è successo… luogo fondamentale per il pianeta, vi si sono svolte cose importantissime… eccetera. Compresi i Vimana, le tecnologie volanti e gli armamenti avanzati.
MB. Dell’India in Occidente abbiamo colto soprattutto la musica.
Louis approfondisce la tematica delle culture antiche e in particolare quelle monoteiste che “ci hanno distrutto”. Sottolinea invece quello che esse non accettano, ovvero la normalità del multidimensionale, che la musica come disciplina sintetizza da sempre. E fra le radici a cui riferirsi, cita nuovamente il “gitano napoletano” che va nel mondo e dedica la propria musica a Camaron del Isla, il cantante re dei gitani e a Ricardo Cachon, grande compositore di flamenco.
MB: E come inserisci questi grandi, come fanno parte delle tue composizioni?
LS: Quando penso a Coltrane, a Charlie Parker, a Jimi Hendrix a Wayne Shorter… sono i miei avi. Sono nel cerchio magico, nel mio mondo affettivo. Io sono solo un minuscolo granello, loro sono giganti, ma io li sento miei fratelli. Perché la loro musica è Amore. Dice Michael Wolf (e tu lo sai bene caro Maurizio) dobbiamo ascoltare con gli occhi e guardare con le orecchie.
MB: Ma quei dieci anni, fra Coltrane, Parker e Davis hanno scandito la rivoluzione totale che ti ha colpito nel profondo.
LS: Per due motivi. Uno per la sintesi, dalle etnie portate in Centro America e poi smistate, poi innestate alla parte celtica, alla parte dei nativi americani, con Mingus ad esempio. Abbiamo smarrito la poesia, dei rapper i poeti sono il tre per cento di poeta… roba da supermercato…
La musica strumentale bypassa il bluff della parola, ti connette a qualcosa direttamente spirituale. Mi ascoltano gli ebrei, gli islamici… è un linguaggio che parla al corpo prima che all’anima.
Passo le mie giornate nella ricerca, non solo in meditazione, e non solo ricerca macro strutturale sull’armonia, io creo anche i suoni, sulle sonorità delle cose…
MB: Anche come musica concreta…
LS: Sono stato iniziato da un pioniere della musica elettronica e della computer-music, Antonio De Santis, che ha fondato l’IRCAM a Parigi insieme a Pierre Boulez, Peppino Di Giugno (geniale inventore, N.d.A.). Sarò per sempre riconoscente al mio Maestro. Mi manca. Mi mancano le nostre chiacchierate i nostri scambi. Era un gigante! Un vero gigante della Musica. Mi piace pensare che la mia Musica possa colmare il vuoto che le persone importanti nella nostra vita hanno lasciato passando nel mondo che non si vede.
MB: E arriviamo a Frank Zappa…
LS: Lo aveva capito perché veniva da Edgar Varèse.
Un po’ come nell’accademia di Platone, nel mio caso ti puoi ritrovare a cinque anni ad apprendere la tradizione della Benares Gharana (la casta dei musicisti di Varanasi sul Gange, N.d.A.) e alla fine del tuo corso, dopo 20 anni di studio, aggiungi al tuo nome il nome della casta… così avrai rispettato la tradizione della gharana. Non si può innovare senza aver sviscerato pienamente la Tradizione.
RM: Sei uscito da Napoli, hai girato il mondo e conversato con tutti, con tante culture, ora hai la sintesi, che è il Jazz per tua scelta e torni a Napoli perché è un tuo messaggio, oppure perché Napoli è nuovamente capace di accoglierlo?
LS: Io in realtà non mi sono mai allontanato… Napoli vive sempre in me, ma dicevamo che la sensibilità di questi anni è una ricerca olistica e Napoli è olistica e sincretica da millenni… Parli (rivolgendosi a Renato)… come sintetizzando quello che è Napoli in me.
RM: Quindi tu scendi in campo per affermare Napoli e per sostenere che non siamo provincia.
LS: Ne sono ambasciatore.
MB: E la costruzione di quest’opera mi fa chiedere: come hai messo insieme la band: concettualmente, virtualmente o sensitivamente?
LS: Sensitivamente. Perché ci riempiono di cazzate. Ci dicono, guarda al cervello… le ultime scoperte cognitive della scienza ci dicono che il cervello è qui nel plesso solare, gli antichi lo chiamavano Archeos. Io mi muovo con la mia bussola qua (indicando il plesso solare).
MB: Ma qui (indicando la fronte) c’è il terzo occhio.
LS: Ѐ un ponte fra qui e qui… archeos e poi l’intuizione… Manzoni diceva che Renzo apparteneva alla gente meccanica… Ebbene, per arrivare alla consapevolezza la musica è una via spirituale, non è entertainment. La via iniziatica che ho deciso di percorrere da quando avevo nove anni.
MB: Questa è una band che regge insieme? O è un organico passeggero.
LS: Dato il covid time… la musica internet, un concerto on line… come una donna bellissima che devi incontrare se ci vuoi stare. La gente deve capire che l’arte vera vive nella performance dal vivo. La mia band ideale è in un teatro dove si fa musica con i cuori di tutti i presenti… essere in risonanza empatica col pubblico. I dischi sono come i quadri e io oggi sono nel mio periodo blu, ma fare un disco è un altro modo di esprimere l’arte, fissare quel momento compositivo ed esecutivo, è la fotografia, ma anche giocare con l’artificio e la tecnica. Non in questo mio disco che è tutto dal vivo. Ogni concerto è sacro, ogni volta che un essere umano impugna uno strumento è un atto sacro, che vale più delle moschee, delle sinagoghe e delle chiese. Il concerto rimane l’essenza del fare musica.
MB: Siamo al terzo brano: “The Secret of Mansa”. Mansa credo appartenga all’africanità, alla base assoluta del senso ritmico, alla fisicità sonora… scene che io ho visto con i miei occhi in Togo: bambini piccoli danzavano su se stessi e battevano le manine per comunicare con noi bianchi, per avvicinarsi e stabilire una forma di contatto e ricevere il regalino, la caramellina… la musica è l’unica cosa che ci lega all’Africa, che abbiamo solo sfruttato.
LS: Le multinazionali hanno sempre fatto man bassa, la Francia soprattutto. Ho vissuto in Senegal e in Mali e ho provato la crisi del ritorno… vivendo con loro, ti accorgi che quei territori e i loro popoli sono un patrimonio per tutta l’umanità, il gigante cinese è lì da anni a spadroneggiare… Ho conosciuto la nipote del presidente del Senegal Leopold Sengor, l’unico nero ammesso alla Accademia di Francia. (Racconta del suo lungo viaggio per incontrarla, in barca, su un asino e su un carretto e la signora non c’era… poi il canto da un minareto…). E alla fine la vidi e capii cosa era l’Animismo, che è un ponte con l’intuizione, un ponte con il multidimensionale, mi prese per mano, abbiamo parlato… mi diede un bracciale, portalo in Italia, mi disse. L’Africa così mi è entrata dentro. Mi è arrivata dall’emisfero destro, in Africa ci sono i maestri dell’emisfero destro… invece in Europa, nell’Occidente abbiamo costruito tutta una società poggiata sull’emisfero sinistro. Io non sono per la civiltà visiva, ma quella uditiva, perché si dice che l’orecchio è connesso all’emisfero destro, in Africa c’è molto emisfero destro, che oltre alla musica la fa da padrone anche nella ritualità, si danza…
MB: Ed è legato al femminile, se non vado errato.
LS: E certo! Il femminino sacro, da Leonardo sino a Dante ne erano cultori, Botticelli… l’emozione è l’emisfero destro e noi lo abbiamo perso, la musica invece fortunatamente ce l’ha, ma poi chi letteralmente naufraga nell’emisfero destro sono pochi… come nel film “Lisbon Story” di Wim Wenders, in cui il regista cerca di dimenticare le immagini…

MB: Mentre parlavi mi è venuto in mente “Picnic ad Hanging Rock”… primo, perché un mistero irrisolto, secondo, perché è legato al “superiore”, terzo, perché è legato al femminile dato che riguarda le ragazze dell’Appleyard College, la loro grazia, energia, potenza…
LS: La violenza sulle donne. Tutto quello che avviene in negativo…. Cultura è ascolto del femminile, il nostro è un vero dramma culturale.
MB: Allora il disco è una suite in quattro movimenti. Ma anomala, non alla Pink Floyd, i cui movimenti occupano un’intera facciata di 24 minuti… E quindi dove sono gli altri 24 minuti tuoi di una seconda facciata?
LS: Il prodotto di un’attività artistica va calato nel tempo in cui viviamo. Con un clic siamo a Tokio, possiamo comprare del greggio dal Golfo Persico… l’avvento dei pc ha cambiato la percezione dello spazio tempo e anche delle durate, anche nella buona musica di consumo è saltata l’introduzione, si va subito alla strofa, perché la nostra capacità del qui e ora è completamente diversa e le sei ore di un grande genio come Wagner sono diventate le due ore dei Pink Floyd e ora i miei 40 minuti. I quattro o cinque matrimoni degli americani di oggi, contro le sei o sette vite dei nostri nonni, l’umanità è diversa.
MB: Questa musica in tutto l’album è estremamente potente. Dal punto di vista delle emozioni che consente di percepire e che fa reagire l’ascoltatore. Solitamente, ad esempio nel prog, c’è l’inserimento della voce femminile, della soprano, che tu non hai usato…
LS: No, non l’ho usata…. Amo molto il canto armonico, le diplofonie, come strumento di tecnica spirituale, ma in questo caso no. Venivo da due album dove c’era il pianoforte, strumento relativamente recente inventato da un italiano (sottolineo), nato duecento anni fa, ma l’essenza degli strumenti è antichissima… l’orecchio di Bach, Luigi Russolo con l’Intonarumori… il tasto del primo pianoforte era molto aspro. Dopo anni e anni dedicati all’intelligenza artificiale, alla ricerca elettroacustica, le conferenze ad Harvard e nelle più importanti università e centri di studio nel mondo, in un gruppo di ricerca che si chiamava “Musica Inaudita” guidato da Vittorio Cafagna, che è nell’altra dimensione, io, Domenico Vicinanza e Filippo D’Eliso… mi sono detto basta stare nei cenacoli, la gente parla di musica elettronica, tutto fattibile da chiunque con il computer, mi sono detto è arrivato il momento di mettere insieme qualcosa che prenda un pubblico più vasto, elettronica per tutti. I suoni di questo disco non si trovano altrove, non sono preconfezionati, alcune delle note, delle mie tastiere vanno dal grave all’acuto, suono con i piedi la pedaliera, creo suoni come un liutaio di me stesso e questo è il frutto di anni spesi nel “micro” a creare suoni, nel ricercare questo nuovo linguaggio MUMEX. E con Renato, con la mia volontà, abbiamo ascoltato delle mie cose, poi la grande amicizia, ma il senso che ci accomuna è essere portatori di qualità, la mia musica è vera, non è un bluff.
MB: L’album finisce con un gong, perché dà inizio e fine a una preghiera, una meditazione?
LS: Perché non esiste l’inizio e non esiste la fine, è tutto un ciclo e il gong è lo strumento che raffigura la liberazione, il culto della vibrazione. Io faccio musica per devozione e per essere curativo, portare qualcosa alle persone nell’ambito della guarigione. Della quale io sono solo un tramite. La vera musica è guarigione, terapia, amore, compassione, la più grande strada spirituale che esiste, non c’è una disciplina più profonda. So che la vibrazione ha un peso importante nell’evoluzione di questo pianeta. Dal punto di vista scientifico perché in tutti gli elettromedicali si è scoperto il potere degli infrasuoni, spirituale e della materia… quando usciamo da un concerto dal vivo, l’elettricità, l’energia che abbiamo nell’anima è la straordinaria forza della musica. Basta che gli artisti non stiano sotto la tavola dei potenti ad aspettare l’osso. Così sarai sempre uno schiavo. Allora vivi il tuo giorno da leone, con gioia, ma anche in libertà.
Perché la vita in questo corpo è una e il passaggio è uno, non ne faremo 300 mila. Una sola volta sono andato da una medium, perché da sempre ho il dono della medianità ed era una medium che stava dall’altra parte del Tevere, di fronte casa mia ed era la medium di Fellini. Famosissima. Quando l’ho incontrata mi ha detto: “Maestro, ma perché sei venuto qui, tu non ne hai bisogno” e durante questo colloquio mi ha detto ancora: “Tu ti sei voluto incarnare per sperimentare la gioia attraverso il suono e la parola”. Spesso lo dimentichiamo, perché la situazione non è rosea e ci ingrigiamo, però non dobbiamo perdere di vista la gioia, ed è questo che mi ha reso possibile il legame con Renato, lavorando con il sorriso. La capacità di dispensare gioia per te e per gli altri.
Maurizio Baiata