È sera. Al volante della tua auto, viaggi nell’abitacolo moderno e confortevole, con la musica a tenerti compagnia. Fra non molto giungerai a casa, in campagna, lontano dalla nevrosi della grande città. I fari squarciano l’oscurità della strada, mentre il cielo, lo hai visto prima guardando fuori dal finestrino aperto per fare entrare un po’ di aria fresca, è limpido e stellato. Stanco, dopo una lunga giornata di lavoro, ma felice, pochi chilometri ancora e riabbraccerai la tua compagna, i bambini già a letto ti aspettano per il bacio della buona notte. È tutto nella certezza e nella consuetudine di una vita che di disordinato non ha nulla da anni. E ci pensi su, sorprendendoti ancora per le scelte fatte. Mettere su famiglia, accettare un lavoro, l’unico possibile che desse sicurezza, anche se ti tiene per troppe ore lontano dagli affetti. E sei ancora on the road, ma sai dove andare…
Improvvisamente, una luce intensa, un bagliore abbacinante, un flash davanti agli occhi. Istintivamente, accosti l’auto al ciglio della strada. Hai subito percepito che quel lampo voleva dire qualcosa, ma non sai quale. Esci dall’auto e scruti tutto intorno. Sui due sensi di marcia non ci sono veicoli preannunciati dai fari. E dai boschi, dove termina il profilo della pianura costeggiata dal serpente di asfalto su cui metri vai ogni mattina presto e ogni sera, nulla che richiami a una fonte luminosa. Lì non ci sono case, fattorie e neppure le propaggini di un insediamento agricolo. Allora, non ti resta che alzare gli occhi in alto e ora… è strano, non vedi più le stelle, ma una massa scura, oblunga, i cui contorni sembrano tratteggiati da impulsi di colore, irreali e irregolari. Nessun rumore. “Dove è il cielo?” – Solo quella cosa, grande almeno una dozzina di metri che riesci a stimare calcolando da un bordo all’altro la superficie compatta che blocca la visuale di quel tratto di volta celeste e che sembra immobile nell’aria. Allora realizzi. Un UFO. Come nei racconti di tanta gente, ma stavolta tocca a te.
La scena descritta è stata vista e vissuta così, nella sua stessa stupefacente e ripetitiva assurdità, da migliaia di persone che nel mondo sono state protagoniste di un incontro con un oggetto volante non identificato a distanza ravvicinata. Descrizioni tutte uguali e tutte diverse, nella loro straordinaria monotonia e nel lasciare, dopo, nel profondo dell’animo un senso di sopraffazione e di impotenza, perché non se ne è tratta una spiegazione razionale e convincente o per lo meno minimamente plausibile su cosa fosse quella cosa.
Ora, mentre hai ancora gli occhi sgranati sulla sagoma nerastra che ti sovrasta a un centinaio di metri di altezza che, pensi, dovrebbe una essere una distanza di sicurezza… accadesse dell’altro… Le strisce multicolori sul bordo di quell’oggetto si fanno più luminose, si moltiplicano e convergono verso il centro apparente del corpo vagamente circolare dello scafo. Sembrano rincorrersi e, incrociandosi fra loro, iniziano a formare un reticolo. Dal ventre del disco rossastro, animato ora come una sorta di cuore pulsante, viene emesso un raggio che si proietta su di te. Nello stesso istante, delle figure indistinte, diafane, fatte come di corpuscoli luminosi che sembrano aggregarsi, si avvicinano. Il loro movimento è all’unisono, ondeggiano quasi nell’aria, una presenza incorporea eppure fisica! Chi sono? Cosa vogliono? Sono alieni? Oh mio Dio! E la tua vita cambierà per sempre. Come nel caso di Travis Walton.
Travis rientrava dal lavoro insieme ai sei compagni con i quali aveva trascorso la giornata a disboscare un’area a 24 chilometri da Heber, nella Foresta Nazionale Apache, regione delle White Mountains, Arizona centro-orientale, a 217 Km a nord-est di Phoenix. Travis aveva allora 22 anni. Era un ragazzo di carattere un po’ schivo, praticava da anni arti marziali (Karate e Taekwondo) e, soprattutto, era un gran lavoratore. Metteva da parte i soldi per sposarsi presto con la fidanzatina, Dana e il lavoro pagava bene, anche se la fatica era tanta. Erano da poco passate le 18.00 del 5 Novembre 1975. Con lui, a bordo del furgone guidato dal caposquadra Mike Rogers, suo migliore amico, c’erano Ken Peterson, John Goulette, Steve Pierce, Allen Dallis e Dwayne Smith. Bravi ragazzi, vivevano tutti e sette nella sonnacchiosa tranquillità rurale di Snowflake. A un tratto uno di loro notò un bagliore rosso fuoco che illuminava la boscaglia. Era strano. Poteva trattarsi di un incendio, decisero allora di raggiungere il punto da dove proveniva la luce, cambiarono strada e in breve si trovarono di fronte a una radura dove un grande oggetto volante stazionava in aria, silenzioso, emettendo bagliori luminosi, a circa 90 piedi dal terreno.

Nell’illustrazione realizzata da Mike Rogers, Walton all’interno dell’astronave, accompagnato da un alieno di tipo umano.
Mike fermò il furgone (le cui luci e motore continuarono a funzionare) a meno di 30 metri dall’oggetto, che continuava a librarsi sopra la cima degli alberi, sotto gli occhi dei sette giovani esterrefatti. Travis sedeva davanti, accanto a Mike e aveva la visuale migliore. Fu una questione di secondi. Decise di andare a vedere da vicino quella straordinaria macchina i cui contorni si stagliavano contro l’ambiente naturale, già coperto dalle ombre della sera. Il fondo della scafo emanava un chiarore che illuminava il suolo. Dal basso, il diametro non superava i cinque metri e aveva un’altezza di almeno tre metri. Era liscia, perfetta. Nulla, né antenne, né cavi, né oblò. Sembrava dentro non ci fosse vita. Uscì dal furgone, come sospinto da una forza che gli diceva che quella era l’occasione della sua vita. Fece pochi passi, avvicinandosi all’oggetto mentre gli amici lo imploravano di non farlo e di tornare indietro, ma lui no, ancora qualche passo ed ebbe solo il tempo di alzare lo sguardo. In quel momento un suono stridulo e lacerante, come di decine di turbine azionate contemporaneamente, uscì dall’UFO e Travis cercò subito riparo, accucciandosi dietro un ceppo d’albero. Si rialzò e fu investito da un fascio di luce verde-bluastra (così gli avrebbero spiegato in seguito) e il suo corpo, come una marionetta appesa a un filo, venne sollevato da terra e proiettato, braccia e gambe aperte, all’indietro, per alcuni metri. Walton non vide e non percepì nulla di quanto stava accadendo. Tramortito, fu lasciato così sul terreno dai suoi amici che lo credettero morto e non ebbero il coraggio di avvicinarsi al suo corpo immobile.
Mike riavviò il furgone, pigiò sull’acceleratore e si allontanarono terrorizzati. Dopo poche miglia, il caposquadra fu il primo a riprendersi dallo shock e a rendersi conto di ciò che avevano fatto. Decise di tornare indietro e lo fece da solo, lasciando i suoi compagni sulla strada. Quando raggiunse di nuovo la radura dell’incontro ravvicinato, non c’era più traccia di Travis né dell’UFO. Cinque giorni dopo, Travis riapparve, nei pressi di una stazione di servizio di Heber e da una cabina telefonica chiamò in “collect call” (a carico del destinatario) la sua famiglia, chiedendo aiuto. Non sapeva come si era ritrovato lì e non ricordava nulla di quello che gli era successo.
Questi i fatti, nudi e crudi. Sui quali nessuno è mai riuscito a dimostrare il contrario. Walton, il più famoso addotto del mondo, non ha mai lasciato la sua cittadina, ma si è separato dalla moglie Dana e ora ha una nuova compagna. Nel corso della sua visita in Italia nel 2011, invitato per la conferenza ufologica “Interazioni tra umani e alieni” organizzata a Roma da Massimo Fratini e della quale è stato relatore e ospite d’onore, ho avuto modo di trascorrere con lui un paio di giorni. Durante le nostre conversazioni Travis ha tenuto a ribadire che sul suo caso il meccanismo del debunking, affidato dal Federal Bureau of Investigation alle “sapienti” mani di Philip Klaas, famoso giornalista scientifico (scomparso nel 2005) nonché “demolitore d’ufficio” di casi ufologici ed esponente di spicco dell’organizzazione ultra scettica americana CSICOP, non ha mai avuto ragione rispetto alla qualità delle testimonianze. Per screditare Walton, Klaas era stato pagato ben 10.000 dollari dal FBI. Ne esiste la documentazione.
Inoltre, aspetto più importante sul piano umano e dell’esperienza vissuta, è la nuova ipotesi che il protagonista ritiene oggi possibile: che la ragione primaria della sua abduction potrebbe essere stata accidentale. Travis fu investito da un raggio emesso dall’oggetto che lo tramortì lasciandolo privo di conoscenza sino al suo risveglio nell’astronave. Ipoteticamente, gli esseri a bordo – quelli di tipo grigio e quelli di tipo umano con i quali interagì – resisi conto dell’accaduto e della gravità delle sue condizioni, lo “teletrasportarono” all’interno della loro macchina volante e lo sottoposero a interventi di rianimazione. Potrebbero esserci altre ragioni, o altre ipotesi, ma questa diversa chiave di lettura arriva direttamente da parte di Travis, il cui cammino verso la verità di quanto gli accadde nel 1975 sembra interminabile, ma prima o poi porterà a un punto di arrivo.
Questi e altri aspetti della sua storia potranno essere approfonditi nel corso della conferenza “Figli delle Stelle” a Milano che, al culmine di un’intensa giornata di lavori di esposizione e discussione di tematiche ufologiche ed esobiologiche, nel tardo pomeriggio di domenica 25 Settembre, vedrà Travis Walton come ospite d’onore e attesissimo relatore. Un’occasione da non perdere, per poter conoscere di persona l’uomo che visse cinque giorni con gli alieni.
Il programma della conferenza, le modalità di prenotazione e tutte le informazioni su http://www.extremamente.it/figli-delle-stelle/
Maurizio Baiata, 21 Settembre 2016
Rispondi