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di Maurizio Baiata – 27 Gennaio 2023

“ANCIENT COSMIC TRUTH” è il suo nuovo album: 25 minuti al fulmicotone che colpiscono al cuore e allo spirito. Intervista-Tavola Rotonda per parlare di un Suono che ha radici nel Golfo di Napoli e incrocia il multiverso di Miles Davis e Jimi Hendrix

Louis non canta, ma la voce non gli difetta visto che per stare al passo del suo finissimo napoletano, era confortante il salottino del suo appartamentino a Trastevere, che ci ha ospitato: Louis al centro, io al suo fianco sinistro e, di fronte, il produttore Renato Marengo e il fotografo Mario Coppola, a distanza di registrazione, di scatti e di istanti da ricordare. Era l’Ottobre 2022. Ma ne parlo ora perché il disco è appena uscito e l’intervista, anticipata dal Cinecorriere, appare ora qui nella sua integralità, con la premessa di Renato Marengo.

Dedichiamo molto volentieri uno “Speciale Musica” di Cinecorriere a un incontro con un musicista che potremmo definire di jazz-rock o d’avanguardia, che è anche un noto autore di colonne sonore: Louis Siciliano. La cosa maggiormente interessante è che questo straordinario artista, dopo aver vissuto, studiato e fatto musica in luoghi del mondo fra loro diversi come Napoli (sua città natale), Londra, Los Angeles, Bombay e altre località dell’India, dopo aver “risciacquato panni e partiture” fra Mississippi, Tamigi e Gange, risponde adesso al richiamo del mare del Golfo dove si affaccia il Vesuvio. Così, dopo qualche decennio, Siciliano si immerge nuovamente in quel Centro del Mediterraneo, quella città porosa che ha visto la Sirena Partenope nuotare e cantare…  e ha visto bastimenti partire per terre assai lontane e portaerei arrivare cariche di giovanottoni che, fatta la guerra, ogni sera per anni nei vicoli del porto, fra il Maschio Angioino e Bagnoli, cercavano alcool e “signurine” e non esitavano a fare musica con ragazzi “local” come James Senese e Mario Musella, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Bennato, De Simone e Avitabile. E Louis, uomo, compositore e musicista, fa ritorno nel suo mare d’origine arricchito dai tanti suoni da lui raccolti e creati in un instancabile girovagare tra luoghi, etnie e strumenti diversi che fa astralmente convivere nella sua ultima fatica di Suono ed Energia: “Ancient Cosmic Truth” (“ACT”). Un’opera che me lo fa accogliere a braccia aperte – come si fa per ogni figliuol prodigo che ritorna – nel futuro musicale di quel Napule’s Power che mi sta nel cuore. Per questo ho deciso di produrre “ACT”, realizzato per la prestigiosa etichetta Musica Presente diretta dall’illustre critico e musicologo italiano Renzo Cresti, grande amico al quale devo la prefazione di lusso del mio libro “Napule’s Power”. Ed è chiaro anche il perché ho invitato Maurizio Baiata, il collega che come critico tanto stimo sin dai tempi del mitico settimanale musicale Ciao 2001 dove scrivevamo agli albori del Rock, ad un incontro con Louis, con il giornalista Paolo Zefferi e con Mario Coppola, fotografo dalla mirabile sensibilità di immagini di corpi e anime di jazzisti da lui ritratti in tutto il mondo. Questo Speciale dedicato a Louis Siciliano è una lunga e approfondita chiacchierata di musica e dintorni in libertà, che sarebbe stato un reato tagliare e che grazie al web possiamo riportare integralmente. Leggete sin dove potete, ma sono sicuro che, dopo le prime pagine, continuerete a viaggiare insieme a Louis Siciliano e a noi per scoprire…. come va a finire. E vorrete ascoltare “ACT”, un disco che la critica di tutto il mondo sta apprezzando.   Renato Marengo

Louis Siciliano e Maurizio Baiata. Foto: Mario Coppola

CHE MUSICA È “ANCIENT COSMIC TRUTH”?

Tavola rotonda con Louis, Renato Marengo, Paolo Zefferi, Mario Coppola e Maurizio Baiata. Foto di Mario Coppola

Renato Marengo (introduce): siamo qui per raccontare dell’ultima impresa o avventura musicale di Louis Siciliano, artista poliedrico e polivalente, proveniente da una marea di esperienze delle quali parleremo, costruttive, utili, aggregate a tutto ciò che Louis ha sviluppato, non dispersive, su un unico canale, la Musica, il nuovo nella Musica. Subito, al nostro primo incontro, abbiamo parlato dei “panni sciacquati” nei fiumi del mondo, che sente di dover tornare dove è nato, nel Golfo di Napoli, città che già da giovanissimo Louis avrebbe voluto cambiare. Non la Napoli delle grandi canzoni dei compositori, né quella della tradizione, una Napoli di allora pietistica, delinquenziale, neomelodica, che aveva creato un abisso tra il nord e il resto del mondo, una Napoli vista più per i fatti scandalistici e di cronaca nera e non per le sue grandiose prerogative che, come dice il critico Renzo Cresti, l’hanno resa capitale della musica europea insieme a Parigi. Con Cresti, che ho conosciuto in zona Opus Avantra, grazie alla sua mediazione, lui con la contemporanea, io con la musica del mondo, abbiamo familiarizzato nel fil rouge Napoli-Venezia. Louis era alla presentazione del mio tomo dedicato alla immensa forza del “Suono di Napoli” e ho di getto apprezzato le sue musiche, anche come autore di colonne sonore. Un mondo che al momento sta mettendo da parte per concentrarsi all’universo al quale appartiene: il Jazz. E questo ha una motivazione iniziale, un nome, Wayne Shorter, lo spirito del Jazz-Rock… dico bene, Louis?

Louis Siciliano e Wayne Shorter. Foto: L. Siciliano

Louis Siciliano: Wayne è un maestro zen, e come tutti i maestri non ti dice cosa devi fare. Ho avuto il privilegio di frequentarlo, con la sua famiglia, con la moglie Carolina, e ho subito iniziato a scendere in me stesso. Quel viaggio indicato dai Greci: conosci te stesso.

Ho dovuto adattarmi… un compositore italiano di fine 900… usando la logica del naufrago che mette la lettera nella bottiglia, illudendomi di poter sopravvivere con le colonne sonore, pensando che i film poi avrebbero fatto uscire la mia parte musicale, in realtà io i film li ho disseminati di simboli, di segni… creando musica a multilivelli…

Ma ancora non ero io. E con Wayne ho capito soprattutto che la Verità conta sopra qualunque altra cosa. Ero poco più che un ragazzino, con il mio amico carissimo e scrittore straordinario Franco Cuomo e un giorno Carmelo Bene mi disse: “Ma per te la musica è una questione di vita o di morte?” Ecco, adesso, dopo Wayne, lo è… davvero.

RM: quando ci siamo incontrati… abbiamo detto del tuo rinnovato interesse per Napoli, che forse oggi ti appartiene di più. Quale è il tratto di unione fra il punto dove sei arrivato e questa esigenza di entrare nel futuro del Napule’s Power?

LS: Io sono da sempre a Napoli… la mia Napoli è come la Gerusalemme Celeste di Torquato Tasso… Napoli… tutti i grandi sino a Pino Daniele, James Senese… I mostri di allora, pilastri della nostra cultura. Joe Amoruso, Ernesto Vitolo, Tony Esposito, Gigi De Rienzo, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo… loro sono i nostri tropicalisti come Caetano Veloso, Gilberto Gil, Gal Costa, Chico Buarque… Sai, noi spesso ci dimentichiamo che siamo tutti nel multidimensionale, pensiamo di essere nella dimensione tangibile, ma non esiste solo questa… io a Napoli ci sono sempre, non l’ho mai lasciata… Le sue radici sono profonde e i rami svettano in alto…

(Louis spiega Napoli e Varanasi sul Gange…)

ho collaborato con un fantastico suonatore di shehnai, Ali Abbas Khan che era il nipote di Ustad Bismillah Khan, una leggenda della musica classica Hindustana. Quando inserivo dei vocalizzi all’unisono col mio sarangi in napoletano, lui e tutti gli altri musicisti impazzivano. Che lingua è che lingua è? Dicevano. È il napoletano rispondevo e si illuminavano. Che immenso bagaglio culturale Napoli! La città di Partenope rappresenta nel mondo l’eccellenza: pensiamo all’alta sartoria, ai suoi artigiani, al teatro, alla musica, alla gastronomia. Napoli non è e non può essere “Gomorra”. Il napoletano non è un dialetto ma è una lingua ancora tutt’altro che viva. Mi viene in mente la brigantessa Michelina Di Cesare, le tante donne violentate e giustiziate in pubblica piazza e i briganti che non si identificavano con i Savoia. La Napoletanitudine è dura da sconfiggere! Ed è viva più che mai!

Maurizio Baiata: Eduardo ai giovani talenti napoletani diceva “andatavene”?

LS: Fuitevenne! Era amareggiato il grande Eduardo. Oggi come allora i grandi personaggi che potrebbero dare un forte impulso a Napoli se ne stanno arroccati nelle loro torri d’avorio, mentre i gattopardi continuano a spadroneggiare. Così è se vi pare! Diceva qualcuno, manco a farlo apposta sempre in ambito teatrale.

MB: Gli stessi di “Mani sulla Città” di Rosi?

LS: Sono i figli dei baroni…

MB: Quei baroni di allora rispettavano o no, il fatto che esistesse una napoletanità…

LS: I baroni di quel tempo avevano rispetto perché erano figli di una cultura alta ancora radicata in tutti gli strati sociali…. Alla quale poi si è anteposto il vile denaro, la speculazione, la violenza, i camorristi… La politica è stata a guardare pur di mantenere i propri privilegi.

MB: Eppure grazie alla tua città una guerra vera ha avuto una svolta, raccontata mirabilmente da Nanny Loy nel film “Le Quattro Giornate di Napoli”, che vorrei che tu ricordassi… gli scugnizzi…

LS: Per me… Napoli è e sarà per sempre anarchia di fondo. Multiverso…

RM: Chiamo spesso anche io Napoli la città “porosa”, un termine che viene da grandi scrittori… Rea, La Capria, la città, anziché farsi massacrare, soccombere, nel corso dei secoli ha assorbito tante culture… mentalità sinergica e contaminatrice, ha stemperato le dominazioni, ha acquisito, sino a crearne una nuova, la napoletanità polivalente.

LS: E la musica non è immune, come non ne è immune la cultura… elementi del mondo ebraico… Federico II, la scuola medica che sintetizzava armonicamente mondo cristiano, islamico ed ebraico, l’università napoletana, Adam De La Halle (compositore e poeta francese che visse alla corte degli Angioini, N.d.A.)… l’Ars Nova fiorisce a Napoli… la rabbia della riscossa, detentori di un grande bagaglio, in un tempo in cui la tv ha elevato prima le masse e poi ha distrutto tutto sino ad una Napoli che oggi ha solo immondizia e i grandi, come Pino Daniele, James Senese, Enzo Gragnaniello e grandi poeti della canzone come Carlo Faiello, li ascolta poco… ripeto sempre al mio primo figlio che ha 14 anni che gran parte della produzione musicale italiana odierna è immondizia devastante, ma siamo ancora in tempo ad arginarla…

MB: c’è stato in Italia un grande personaggio del mondo della comunicazione e della musica, che ha sofferto di quanto avete appena detto, Renzo Arbore… lui ha portato fuori… ha dato spazio ai nuovi talenti, coi suoi programmi “Indietro Tutta”, persino “Alto Gradimento”…

RM: Esatto… molti napoletani glielo devono, per questo un capitolo di “Napule’s Power” si intitola “Renzo Arbore… i prodromi”… da giovane Renzo viene a Napoli, da jazzista, un mondo internazionale sano, porta i napoletani a riscoprire, a migliorare le grandi canzoni in stile swing… Peppino di Capri, Bongusto, Il Giardino dei Semplici, Totò Savio, eccetera…

LS: mi solleciti… Renzo Arbore, la sua Orchestra Italiana, è stato un incubatore… di talenti eccezionali, come il grande percussionista Giovanni Imparato…

RM. Che aveva suonato con Eugenio Bennato.

MB: E a “DOC”, ragazzi, ha suonato live Miles Davis! 

LS: E Pat Metheny, Dizzie Gillespie, Michael Brecker…

RM: E Gegè Telesforo… ma esistono ancora i padri, va citato il sociologo Lello Savonardo e la sua “Bit Generation”… le nuove tecnologie, i 99 Posse, 24 Grana,  Raiz, i giovanissimi ed ecco che arriviamo a te.

LS: Pino, James sono grandi, Eugenio Bennato, Enzo Gragnaniello, Carlo Faiello… A me piace tantissimo anche Piero Gallo e la sua mandolina. Da ragazzo seguivo molto Antonio Onorato, musicista di altissimo livello. E poi due mostri ognuno con le sue caratteristiche: Joe Amoruso ed Ernesto Vitolo. Vedi l’Arte Musicale è un cielo immenso e ognuno di questi artisti sono stelle che brillano. Come fai a dire questo è meglio di quello. Ognuno di loro, di noi è unico e irripetibile!

Il grande pianista Joe Amoruso, scomparso nel 2020. Foto di Almiro Fontana

RM: Roberto De Simone ha rappresentato il recupero della tradizione, ma a Eugenio si deve la transizione, il passaggio, sino ai Musica Nova, dopo le basi… si crea il nuovo, con Tony Esposito…

LS: Credo che oggi si debba lottare strenuamente contro il bluff e la mancanza di verità.

MB: Ascoltando il tuo nuovo disco il mio primo pensiero è stato: la nuova musica deve uccidere questa pessima cultura attuale.

LS: lo sottoscrivo col sangue.

MB. Con i suoi quattro brani, a costituire una suite, che potrebbero diventare due, il tuo album “Ancient Cosmic Truth” è la cosa più straordinaria che a mio avviso sia uscita in Italia negli ultimi anni, o persino da sempre. Ad esempio, rispetto al Perigeo, che adoro, non c’è confronto… a prescindere che siano passati tanti anni dalla loro musica, la tua è molto più avanti. 

LS: Io penso di essere anche loro figlio col mio sound. Li ho tanto ascoltati insieme a Napoli Centrale, Weather Report, King Crimson, Popol Vuh, Tangerine Dream, Sun Ra Arkestra, Jimi Hendrix, John Coltrane ovviamente …

MB: Mi sono sempre chiesto perché non abbiano proseguito su quel percorso e si siano fermati: tu hai sofferto quello che hai dovuto soffrire e loro invece hanno rinunciato… Con dei mostri quali Biriaco, Tommaso, eccetera… avrebbero potuto produrre di più rispetto al movimento definito “prog”, che secondo me è stato sterile, perché ha dato poco dal punto di vista della crescita di avanguardie musicali…

LS: Vi racconto questo: Negli USA negli anni 90, ho lavorato nel Queens allo studio 78/88 collaborando con moltissimi rapper americani: Masta Ace, Group Home, RUN DMC. Una sera ero ad una festa qui in Italia, mi presentano uno già famoso… pieno di cocaina, che raccontava che veniva dai ghetti, invece poi scopro che era di una famiglia borghese ricchissima. Ecco, vogliamo riportare l’asse sulla verità, essere veri, oppure finire ingoiati dal maledetto marketing della Tv? I Talent Show hanno massacrato la Musica e i musicisti, in Italia più del resto del mondo, perché l’Italia è un paese “Telecratico”. Chiunque scemo va in Tv viene idolatrato e si crede un padre eterno. A me questa roba mi manda al manicomio…

MB: Quindi escludi che la tua musica possa andare in TV?

LS: La dovrebbe scardinare… Certo se poi si ritorna a fare “DOC” con quella qualità, sarei felicissimo di esibirmi in Tv con la mia band. “ANCIENT COSMIC TRUTH” non so se è un capolavoro, ma è la mia musica, non so se ho fatto meglio o peggio, ma so che dietro di me ci sono ore di ascolto, di studio, dolore, lacrime, gioia, delusioni, soddisfazioni, solitudine ed euforia. C’è la mia vita. Tutta! Nel bene e nel male. Dobbiamo dire ai ragazzi: non credete nell’immondizia. In chi investe in qualcuno che dice di venire dalla strada e ha il papà industriale… quello lì, se lo porti in Queens e al Bronx ha paura della sua ombra. Tette, culi, macchine potenti, catene d’oro sono cose dei ghetti americani… chi è cresciuto a Napoli ha un altro background che non è affatto inferiore anzi… nel mio disco io porto la mia cultura, che alla radice è super napoletana…

Da sinistra, Renato Marengo, Louis Siciliano, Maurizio Baiata e Paolo Zefferi. Foto: Mario Coppola

RM: Però sei stato in America, in India e a Londra.

LS: Il napoletano è cittadino del mondo e un tempo viaggiava. Mi trovavo in Rajahstan… incontro un napoletano in un posto sperduto, incarnava lo spirito viaggiatore, mai violento, generoso… la Napoli di oggi è una provincia, la politica li tiene in pugno col mangime del clientelismo. “Nulla di nuovo sotto il sole”.

RM: Abbiamo detto del legame con Napoli e delle conseguenze… del come arricchire un lavoro… arrivando fino ai giorni nostri, possiamo parlare di futuro? Cosa è questo tuo nuovo album?

MB: Posso intervenire approfondendo la domanda? Visto che il titolo dell’album è “Ancient Cosmic Truth”, credo che tu veda il futuro compreso in questi tre termini, perché quando dici cosmico è il futuro, è la visione che hai… però come sei riuscito a mettere insieme i tre termini per giungere a una musica che abbraccia tutto?

LS: Dobbiamo fare una premessa. Quando si dice musica si dice Cultura, dobbiamo esserne consapevoli, la musica è l’arte del “qui ed ora” ed ha una capacità medica, curativa, terapeutica.

Nello spirito comune del “genius locii” del tempo, negli anni Settanta, la musica era contestazione politica. Poi sono arrivati gli Ottanta, l’edonismo, il divertimento. I Novanta sono stati gli anni del malessere, vedi i Nirvana…

RM: Vedi anche i 99 Posse, Almamegretta, 24 Grana…

LS: Per il Duemila dobbiamo usare una parolina magica non da sputtanare nel supermercato dell’effimero, che è “Olismo”. Essere olistici. Tutto è collegato, siamo in una realtà quantica. In questo momento non parla Louis, parlano i miei avi, parlano tutti i musicisti prima di me con me…

MB: Stai canalizzando, canalizzi mentre parli?

LS: Certo. Un canale del quale io sono solo un’antenna. L’artista è una antenna, diffonde un segnale che arriva da molto lontano… che attraversa la memoria e si ricollega ai nostri predecessori, agli alberi che sono i primi abitanti di questo pianeta. Madre Natura che rimane il nostro centro in questo incredibile viaggio che chiamiamo vita.

MB: Ma sono entità presenti e immanenti.

LS: Sì. L’artista catalizza tutto il mondo che non si vede. Per esempio a Napoli c’è un importantissimo culto degli avi perché, attraverso quello, tu sei anche la voce di chi non c’è più. Pino Daniele non c’è più, ma è dentro di me. L’ho ingerito e digerito. Come James Senese e tutti i grandi da Gesualdo da Venosa, a Jommelli, Leo, Durante, Mercadante, Cilea, Martucci fino a De Simone.

RM: Un’annotazione utile. Fabrizio Sotti, jazzista, chitarrista e compositore (autore di un eccezionale omaggio a Pino Daniele)… gli americani gli hanno detto che per loro Daniele è un autore che viene eseguito come Gershwin nel Jazz….

(si conversa sulla differenza fra le canzonette e il Napule’s Power)…

LS: Noi siamo nel qui e ora, che esprime anche quello che arriverà… tutte queste energie che vanno anche nel multiverso. Io non sono un fricchettone reduce degli anni ‘60, no, io mi baso sulle avvincenti scoperte del nostro tempo. La fisica quantistica finalmente ha fatto capire a tutti noi che quello che gli Egizi e il mondo vedico avevano scoperto e i sacerdoti conoscevano, oggi è di dominio pubblico. Perché tutti noi come tante pecore dobbiamo avere il vaglio della scienza? Spesso il business si nasconde come il Lupo travestito da Cappuccetto Rosso nella nostra società. Questa scienza bisogna capire cosa è, quali signori la gestiscono, quale lobby la finanzia. Mi posso fregiare di essere amico di un Nobel della Fisica, George Smoot III… col quale ho avuto fitti scambi, e oggi sono consapevole di rappresentare una branca della Conoscenza molto importante che è la Musica, che è la sintesi del Tutto. Nel multidimensionale ci sono tutte le energie che ci circondano, le anime che non si riescono a staccare dal pianeta, perché il nostro sistema delle nascite, e così via, è molto complesso, il Logos in cui siamo, mentre fuori dal nostro logos c’è quello che si chiamano alieni, extraterrestri… Ognuno la interpreta a seconda… ma tutto questo concerto di energie ci attraversa. Siamo parte di una Sinfonia Cosmica e la nostra essenza è Vibrazione. Fa parte di noi e la musica in questo è meravigliosa, sintetizza le formule cosmiche. Nel disco mi riferisco a una vecchia leggenda dei Bambara a cui ho dedicato il primo brano “Bambara Symmetries”, le simmetrie dei Bambara sono dei codici…

MB: Puoi dirci qualcosa dei Bambara…

LS: Sono uno dei primi popoli ad aver abitato nel West Africa… (Louis parla dei Bambara e dei Dogon)popoli che non conoscevano la guerra… i Portoghesi li hanno massacrati. Noi Europei abbiamo messo l’Africa in ginocchio. Li abbiamo e li stiamo depredando ancora di tutto. Ѐ inutile che i politici adesso facciano finta di arginare la massiccia migrazione che viene dall’Africa. Dopo tutti i danni che il Consumismo ha fatto cosa si aspettano questi geni che abbiamo in parlamento?

La leggenda di un potente faraone egizio che crea un gruppo di sacerdoti custodi delle sacre formule, che non stanno in volumi… no, si trovano nel ritmo e nella danza, la formula, la simmetria tu non la puoi passare solo attraverso lo scritto… e la Cuba di Fidel Castro, gli ho dedicato una poesia letta sulla sua tomba dall’ambasciatore. E Fidel e Che Guevara… io penso anche ad un mondo cosmico, in cui… (Louis parla della musica classica, dei tamburi batá delle cerimonie sacre della santeria)… vengono suonate le simmetrie che agiscono sul nostro sistema cognitivo, che lavora con gli algoritmi. Un grandissimo Artista e Babalawo della Tradizione Yoruba come Giovanni Imparato queste cose fanno parte di lui e frequentandolo me le ha trasmesse un po’ anche a me. Verso Gianni ho un immenso affetto ed una totale riconoscenza. Io due volte al giorno non faccio solo meditazione, ma anche tecniche di ipnosi, che vengono da Jung e dai post junghiani, non solo, ma anche di Ipnosi Quantistica applicata alla musica, per via dei miei studi sul nostro cervello e non è un caso che ho poi partorito MUMEX: Music Multiverse Exploration: A New Cosmology of the Sound perché noi abbiamo certe connessioni, certe sinapsi che il potere da sempre vuole cancellare.

Louis e le tastiere, fotografato da Mario Coppola nel suo studio di Roma.

MB: Entrando in “Ancient Cosmic Truth”, partiamo dal primo brano, “Bambara”, appena ho cominciato l’ascolto ho esclamato “azzzz”, annotando questo: dopo un’epica entrata del sax sembra che questi spaccaossa stiano suonando live. Ѐ quello che volevate ottenere, tu assieme agli altri??

LS: Maurizio… questo è importante, è il cuore del mio progetto. Io da sempre sono nel Napule’s Power, la mia radice è quella, si chiama Umanità, Empatia, altrimenti come mi reggo in equilibrio in questo mondo di guerre, di speculazioni, di violenza inaudita. Però c’è anche qualcosa di tangibile e importante in questo album. Dopo 25 anni di lavoro, dopo aver elaborato un metalinguaggio, il MUMEX, che è un modo di vedere quella che noi chiamiamo armonia, lo sviluppo della melodia che viene da Coltrane, in realtà lo zoccolo duro del progetto siamo, ovviamente io, Claudio Romano alla batteria, super napoletano che tutt’oggi vive a Pomigliano d’Arco e Umberto Muselli al sassofono, che Pat Metheny ha definito “l’erede di Michael Brecker”.  

Umberto Muselli abita alle porte di Napoli ed è un outsider totale, un puro, mi ricorda tantissimo Massimo Urbani… Un genio totale!

RM: Un Urbani che ricorda Mario Schiano…

LS: Umberto Muselli quando sente odore di “musichetta” dice “io me ne sto a casa, ho i miei allievi”, è un grandissimo didatta, di grande cuore e grandissimo musicista… giocavamo da ragazzini a pallone sulla spiaggia, è una vita che suoniamo insieme, ci conosciamo, ci vogliamo bene, siamo la generazione venuta dopo Gigi De Rienzo, Bob Fix, Ernesto Vitolo, Rino Zurzulo, Joe Amoruso, Tony Esposito, Tony Cercola, Tullio, Pino, James, loro erano più accomodanti, terreni, dal sorriso disincantato, noi siamo quelli incazzati, veniamo dopo le posse: 99 Posse, Almamegretta; ecco, noi siamo quelli che “quando entrano non transigono”… a Napoli si dice “mazzate ‘a cecata”. La nostra musica non ammicca, non fa sconti, non vogliamo piacere. La nostra Musica è una religione senza se e senza ma. Se entra in contatto con noi un musicista americano, uno tipo Steve Coleman, noi siamo a casa, non temiamo niente e nessuno, perché veniamo da ore e ore di musica, di studio, di sessions, abbiamo consacrato la nostra vita come fa un monaco buddhista zen. Non a caso ho detto “wuagliù” voglio chiamare Randy Brecker alla tromba… il fratello di Michael… e Alex Acuna alle percussioni, spina dorsale ritmica dei Weather Report. 

MB: Scusa, una domanda, tu hai sentito “Blackstar” di Bowie?

LS: Sì, certo.

MB: E quante volte ci hai pianto su…

LS: Ebbeh, perché anche lì c’è una verità cosmica che lo permea…

MB: Che è proprio quello che io ho sentito nei quattro brani del tuo album… il cui concept, così breve, che in soli sei o sette minuti per ciascun brano riesce a sintetizzare degli universi che fra loro sembrano tutti collegati, il che rientra nel discorso del multiverso. Io consiglierei di ascoltare prima “BlackStar” e poi “Ancient Cosmic Truth” per superare lo scoglio della tristezza…

RM: La malinconia, la saudade…

MB: È qualcosa che va oltre, forse lo può spiegare Louis…

LS: quando si parla di Bowie non si parla di un fesso, quando Platone ci parla di iperuranio, di certe dimensioni, ognuno di questi grandi, lo stesso Yogananda, Aurobindo, ha elaborato un linguaggio, perché siamo in un mondo… finito, dove ci tocchiamo, ci palpiamo, e descriviamo, in un linguaggio che è figlio del retaggio del linguaggio del tempo, un qualcosa che è dell’Infinito, qualcosa che è un paradigma che esiste e dalle grandi scuole iniziatiche è stato chiamato Logos… in quante delle nostre Sacre Scritture si dice In Principio era il Verbo… non era il Verbo, in principio era la Vibrazione…

MB: Non che tu debba immedesimarti in Bowie, ma come lui in “Blackstar” hai fatto la stessa operazione circondandoti di musicisti Jazz… perché?

LS: Perché quando tu sei connesso attraverso il cuore e l’intelletto a questa matrice, un’energia più grande e più forte di noi, è una visione olistica…

MB: E allora soltanto il Jazz è quello che io da sempre definisco “musica totale”…

 LS: Quando un navigatore di spazi intuitivi arriva a intuire che questo Logos immanente opera nel mondo in un certo modo, lo declina attraverso la sua arte in determinati modi. Ad esempio György Ligeti, grande compositore, o Jimi Hendrix, lo hanno fatto a proprio modo, e Jimi non era per nulla inferiore a Parker, a Dizzy o a John Coltrane. Sono tutti… sacerdoti, ma anche ingegneri cibernetici, o degli spazi siderali ed è la famosa musica delle sfere della quale parlava Pitagora, qualcosa che è nel Logos e che tu capti e a cui cerchi di dare forma attraverso gli strumenti che hai, lo ha fatto Johann Sebastian Bach che arrivava da Josquin e da Ockeghem. 

RM: Un magnifico titolo, questo “Navigatore di spazi intuitivi”.

LS: Questi argonauti dell’intuizione, come David Bowie, a un certo punto fanno un’operazione fondamentale. Ne parla Huxley: “Se le porte della percezione fossero purificate tutto appare infinito”. Perché due cose sono da sempre fondamentali per l’essere umano, secondo me. Una è la “ruota infinita” (il moto perpetuo) che significa portare la mente in uno stato di vuoto, lavorandoci su tantissimo, e non è detto ci si arrivi pur impegnandosi tutti i giorni ed è un po’ quello che avviene, quando Wayne Shorter suona, quando Coltrane suona, quando io nel mio piccolo faccio le mie cose. La mente diventa la ruota infinita quando non pensi e l’ignoto, l’inconoscibile, la meta da raggiungere.

MB: Che differenza c’è fra “Blackstar” e “Mysterious Traveller” dei Weather Report?

LS: Io sono uno scultore, ricevo un segnale e mi ritrovo a Parigi dove gli elementi di cui dispongo sono legno e cristallo e, con questi, inizio a inventarmi qualcosa. Io invece sono Bowie, mi trovo nel deserto del Sahara o in una savana, devo prendere altri elementi da quello che mi circonda, da mettere insieme e creare. Cambia l’aspetto linguistico, il modo di architettare, tutto ha una struttura e una meta-struttura. Nella prima dominano i linguaggi, il lessico, quindi i Weather Report, Joe Zawinul e Wayne Shorter, con Jaco Pastorius che lavoravano su qualcosa che aveva radici in Miles Davis, il Picasso della Musica. David Bowie invece viene dal teatro cosmico, è uno Shakespeare in musica, c’è molta parola, e il “portare l’astrale nel fisico”, come dice quel genio di Jodorowsky, la montagna è questa qui, ognuno ci può salire da un lato diverso, ma alla cima la realtà è per tutti una.

Le classi sacerdotali poi nell’arco del tempo… hanno dato nomi alle entità, tipica scelleratezza dell’essere umano che dà il nome a tutti, al cane e anche a quella energia. Che invece è un’energia senza nome, né tempo, né spazio, è un’energia che dilaga, quando tu di metti in contatto con essa attraverso il cuore e la devozione, perché tu devi essere devoto non al Buddha, ma al divino che porti dentro. La musica porta questa verità.

Anche uno che ha la terza elementare… ad esempio un Giovanni Coffarelli che si collega non alla Madonna, ma al suo daimon interiore. Davanti a tutto questo, cadono le università, i ceti sociali e ognuno ci può arrivare da una parte della montagna.

RM: Diciamo chi era Coffarelli. Io l’ho conosciuto con Roberto De Simone.

LS: Era un sublime cantatore e maestro della tradizione insieme ad altri grandi come Tonino O’Stock, Zi Sabatino della paranza dello Gnundo di Somma Vesuviana, Zì Giannino O’ Monaco, Zi Tore O’Brutto fino ad arrivare a O’ Lione, Raffaele Inserra, il mio amico Miciariello e suo nipote Enzo. Marcello Colasurdo che sta in ospedale, al quale va un mio pensiero affettuoso. Tutti grandissimi maestri della tammorra.

Franco Battiato. Foto di Fiorella Nozzetti

MB: Hai mai incontrato Franco Battiato?

LS: Tutti mi dicevano che avrei dovuto incontrarlo. Gli avevano fatto avere il mio album “One Vibration” e se ne era innamorato. Dovevamo incontrarci, ma si era ammalato e quindi non è mai accaduto. Ma mi era apparso in un sogno in cui mi diceva “tu sei ALUEI” e io questo l’ho assunto come mio nome d’arte dal 2012 al 2020, 8 anni non casuali…

(Louis fa cenno alle sue esperienze in studio con il produttore Pasquale Minieri e con Sergio Marcotulli, uno dei più grandi ingegneri del suono di tutti i tempi con i quali ha registrato il suo album “ONE VIBRATION” nel 2016)

MB: E invece con Renato?

LS: È stato in un momento in cui mi stavo… chiudendo, Renato mi ha riportato alla mia missione per la musica, ecco, un giovane di quasi 80 anni più entusiasta di un ventenne…  Renato è un dono per la Cultura Italiana di oggi. Grazie a Renato in Italia non si è indietro, non si è provincia e si punta sempre in avanti nell’eccellenza. Il NAPULE’S POWER, il movimento che ha fondato è tutt’oggi più vivo e vegeto che mai e nel mondo grazie a Renato la grande musica di qualità che parte da Napoli e ancora recepita con entusiasmo e ammirazione. Napoli gli dovrebbe dare la cittadinanza onoraria. Ѐ un faro culturale!

MB: Il secondo brano, “Translucent Dodecahedron”, da dove arriva? Di tutti i gruppi dell’epoca, intuisco, si sente una derivazione dai King Crimson…

LS: (Ride) Proprio stamattina ho pensato, sul prossimo disco alla chitarra mi piacerebbe chiamare Robert Fripp. Vedremo. Per adesso sono concentrato sul Tour e sulle performances dal vivo che faremo nel 2023.

MB: Meraviglioso. A proposito di “Blackstar” dissi che il gruppo perfetto sarebbe stato Bowie, Fripp e Eno… ma il termine “Translucent” fu usato dai Pearls Before Swine del fantastico poeta Tom Rapp e da te… e i carri semitrasparenti e il dodecaedro da dove arrivano?

LS: Tutto nel mondo è proporzione, numero, struttura. Struttura poi avvinta dallo spirito. Così, anche nella storia della musica, oltre che della struttura, del numero e dello spirito, il 12 è un numero che torna sempre. Spiegazione sintetica: derivano dagli apostoli al flamenco… 

MB: Quindi si arriva al blues, molto semplificato rispetto al 12…

LS: Sì, il Blues ha 12 battute… la Buleria, che è uno stile ed una danza nobilissima del flamenco, ha 12 beat. Numerologia e proporzioni che ci richiamano alla dimensione della danza… in Escher hai il dodecaedro, nella cui simbologia c’è qualcosa che appartiene ai nostri archetipi… musica archetipale. Molti negli States l’hanno definita Musica Quantistica. Per me è importante non il linguaggio, ma andare all’origine di questi archetipi e carpire nel profondo il processo che è alla base di tutto.   

(Segue una digressione sugli archetipi fra l’esterno e l’interno dell’essere umano. Archetipi Junghiani)

LS: Mi sento intriso profondamente dallo spirito Junghiano che è quello che più si è avvicinato all’India. Io gran parte delle mie vite precedenti le ho fatte in India!

Secondo il Mahabharata, tutto quello che accade e accadrà è successo… luogo fondamentale per il pianeta, vi si sono svolte cose importantissime… eccetera. Compresi i Vimana, le tecnologie volanti e gli armamenti avanzati.

MB. Dell’India in Occidente abbiamo colto soprattutto la musica.

Louis approfondisce la tematica delle culture antiche e in particolare quelle monoteiste che “ci hanno distrutto”. Sottolinea invece quello che esse non accettano, ovvero la normalità del multidimensionale, che la musica come disciplina sintetizza da sempre. E fra le radici a cui riferirsi, cita nuovamente il “gitano napoletano” che va nel mondo e dedica la propria musica a Camaron del Isla, il cantante re dei gitani e a Ricardo Cachon, grande compositore di flamenco. 

MB: E come inserisci questi grandi, come fanno parte delle tue composizioni?

LS: Quando penso a Coltrane, a Charlie Parker, a Jimi Hendrix a Wayne Shorter… sono i miei avi. Sono nel cerchio magico, nel mio mondo affettivo. Io sono solo un minuscolo granello, loro sono giganti, ma io li sento miei fratelli. Perché la loro musica è Amore. Dice Michael Wolf (e tu lo sai bene caro Maurizio) dobbiamo ascoltare con gli occhi e guardare con le orecchie. 

MB: Ma quei dieci anni, fra Coltrane, Parker e Davis hanno scandito la rivoluzione totale che ti ha colpito nel profondo.

LS: Per due motivi. Uno per la sintesi, dalle etnie portate in Centro America e poi smistate, poi innestate alla parte celtica, alla parte dei nativi americani, con Mingus ad esempio. Abbiamo smarrito la poesia, dei rapper i poeti sono il tre per cento di poeta… roba da supermercato…

La musica strumentale bypassa il bluff della parola, ti connette a qualcosa direttamente spirituale. Mi ascoltano gli ebrei, gli islamici… è un linguaggio che parla al corpo prima che all’anima. 

Passo le mie giornate nella ricerca, non solo in meditazione, e non solo ricerca macro strutturale sull’armonia, io creo anche i suoni, sulle sonorità delle cose…

MB: Anche come musica concreta… 

LS: Sono stato iniziato da un pioniere della musica elettronica e della computer-music, Antonio De Santis, che ha fondato l’IRCAM a Parigi insieme a Pierre Boulez, Peppino Di Giugno (geniale inventore, N.d.A.). Sarò per sempre riconoscente al mio Maestro. Mi manca. Mi mancano le nostre chiacchierate i nostri scambi. Era un gigante! Un vero gigante della Musica. Mi piace pensare che la mia Musica possa colmare il vuoto che le persone importanti nella nostra vita hanno lasciato passando nel mondo che non si vede.

MB: E arriviamo a Frank Zappa…

LS: Lo aveva capito perché veniva da Edgar Varèse.

Un po’ come nell’accademia di Platone, nel mio caso ti puoi ritrovare a cinque anni ad apprendere la tradizione della Benares Gharana (la casta dei musicisti di Varanasi sul Gange, N.d.A.) e alla fine del tuo corso, dopo 20 anni di studio, aggiungi al tuo nome il nome della casta… così avrai rispettato la tradizione della gharana. Non si può innovare senza aver sviscerato pienamente la Tradizione.

RM: Sei uscito da Napoli, hai girato il mondo e conversato con tutti, con tante culture, ora hai la sintesi, che è il Jazz per tua scelta e torni a Napoli perché è un tuo messaggio, oppure perché Napoli è nuovamente capace di accoglierlo?

LS: Io in realtà non mi sono mai allontanato… Napoli vive sempre in me, ma dicevamo che la sensibilità di questi anni è una ricerca olistica e Napoli è olistica e sincretica da millenni… Parli (rivolgendosi a Renato)… come sintetizzando quello che è Napoli in me.

RM: Quindi tu scendi in campo per affermare Napoli e per sostenere che non siamo provincia.

LS: Ne sono ambasciatore.

MB: E la costruzione di quest’opera mi fa chiedere: come hai messo insieme la band: concettualmente, virtualmente o sensitivamente?

LS: Sensitivamente. Perché ci riempiono di cazzate. Ci dicono, guarda al cervello… le ultime scoperte cognitive della scienza ci dicono che il cervello è qui nel plesso solare, gli antichi lo chiamavano Archeos. Io mi muovo con la mia bussola qua (indicando il plesso solare).

MB: Ma qui (indicando la fronte) c’è il terzo occhio.

LS: Ѐ un ponte fra qui e qui… archeos e poi l’intuizione… Manzoni diceva che Renzo apparteneva alla gente meccanica… Ebbene, per arrivare alla consapevolezza la musica è una via spirituale, non è entertainment. La via iniziatica che ho deciso di percorrere da quando avevo nove anni.

MB: Questa è una band che regge insieme? O è un organico passeggero.

LS: Dato il covid time… la musica internet, un concerto on line… come una donna bellissima che devi incontrare se ci vuoi stare. La gente deve capire che l’arte vera vive nella performance dal vivo. La mia band ideale è in un teatro dove si fa musica con i cuori di tutti i presenti… essere in risonanza empatica col pubblico. I dischi sono come i quadri e io oggi sono nel mio periodo blu, ma fare un disco è un altro modo di esprimere l’arte, fissare quel momento compositivo ed esecutivo, è la fotografia, ma anche giocare con l’artificio e la tecnica. Non in questo mio disco che è tutto dal vivo. Ogni concerto è sacro, ogni volta che un essere umano impugna uno strumento è un atto sacro, che vale più delle moschee, delle sinagoghe e delle chiese. Il concerto rimane l’essenza del fare musica.  

MB: Siamo al terzo brano: “The Secret of Mansa”. Mansa credo appartenga all’africanità, alla base assoluta del senso ritmico, alla fisicità sonora… scene che io ho visto con i miei occhi in Togo: bambini piccoli danzavano su se stessi e battevano le manine per comunicare con noi bianchi, per avvicinarsi e stabilire una forma di contatto e ricevere il regalino, la caramellina… la musica è l’unica cosa che ci lega all’Africa, che abbiamo solo sfruttato.

LS: Le multinazionali hanno sempre fatto man bassa, la Francia soprattutto. Ho vissuto in Senegal e in Mali e ho provato la crisi del ritorno… vivendo con loro, ti accorgi che quei territori e i loro popoli sono un patrimonio per tutta l’umanità, il gigante cinese è lì da anni a spadroneggiare… Ho conosciuto la nipote del presidente del Senegal Leopold Sengor, l’unico nero ammesso alla Accademia di Francia. (Racconta del suo lungo viaggio per incontrarla, in barca, su un asino e su un carretto e la signora non c’era… poi il canto da un minareto…). E alla fine la vidi e capii cosa era l’Animismo, che è un ponte con l’intuizione, un ponte con il multidimensionale, mi prese per mano, abbiamo parlato… mi diede un bracciale, portalo in Italia, mi disse. L’Africa così mi è entrata dentro. Mi è arrivata dall’emisfero destro, in Africa ci sono i maestri dell’emisfero destro… invece in Europa, nell’Occidente abbiamo costruito tutta una società poggiata sull’emisfero sinistro. Io non sono per la civiltà visiva, ma quella uditiva, perché si dice che l’orecchio è connesso all’emisfero destro, in Africa c’è molto emisfero destro, che oltre alla musica la fa da padrone anche nella ritualità, si danza…

MB: Ed è legato al femminile, se non vado errato.

LS: E certo! Il femminino sacro, da Leonardo sino a Dante ne erano cultori, Botticelli… l’emozione è l’emisfero destro e noi lo abbiamo perso, la musica invece fortunatamente ce l’ha, ma poi chi letteralmente naufraga nell’emisfero destro sono pochi… come nel film “Lisbon Story” di Wim Wenders, in cui il regista cerca di dimenticare le immagini…

Un fotogramma tratto dal film di Peter Weir “Picnic ad Hanging Rock” (pubblico dominio)

MB: Mentre parlavi mi è venuto in mente “Picnic ad Hanging Rock”… primo, perché un mistero irrisolto, secondo, perché è legato al “superiore”, terzo, perché è legato al femminile dato che riguarda le ragazze dell’Appleyard College, la loro grazia, energia, potenza…

LS: La violenza sulle donne. Tutto quello che avviene in negativo…. Cultura è ascolto del femminile, il nostro è un vero dramma culturale.    

MB: Allora il disco è una suite in quattro movimenti. Ma anomala, non alla Pink Floyd, i cui movimenti occupano un’intera facciata di 24 minuti… E quindi dove sono gli altri 24 minuti tuoi di una seconda facciata?

LS: Il prodotto di un’attività artistica va calato nel tempo in cui viviamo. Con un clic siamo a Tokio, possiamo comprare del greggio dal Golfo Persico… l’avvento dei pc ha cambiato la percezione dello spazio tempo e anche delle durate, anche nella buona musica di consumo è saltata l’introduzione, si va subito alla strofa, perché la nostra capacità del qui e ora è completamente diversa e le sei ore di un grande genio come Wagner sono diventate le due ore dei Pink Floyd e ora i miei 40 minuti. I quattro o cinque matrimoni degli americani di oggi, contro le sei o sette vite dei nostri nonni, l’umanità è diversa. 

MB: Questa musica in tutto l’album è estremamente potente. Dal punto di vista delle emozioni che consente di percepire e che fa reagire l’ascoltatore. Solitamente, ad esempio nel prog, c’è l’inserimento della voce femminile, della soprano, che tu non hai usato…

LS: No, non l’ho usata…. Amo molto il canto armonico, le diplofonie, come strumento di tecnica spirituale, ma in questo caso no. Venivo da due album dove c’era il pianoforte, strumento relativamente recente inventato da un italiano (sottolineo), nato duecento anni fa, ma l’essenza degli strumenti è antichissima…  l’orecchio di Bach, Luigi Russolo con l’Intonarumori… il tasto del primo pianoforte era molto aspro. Dopo anni e anni dedicati all’intelligenza artificiale, alla ricerca elettroacustica, le conferenze ad Harvard e nelle più importanti università e centri di studio nel mondo, in un gruppo di ricerca che si chiamava “Musica Inaudita” guidato da Vittorio Cafagna, che è nell’altra dimensione, io, Domenico Vicinanza  e Filippo D’Eliso… mi sono detto basta stare nei cenacoli, la gente parla di musica elettronica, tutto fattibile da chiunque con il computer, mi sono detto è arrivato il momento di mettere insieme qualcosa che prenda un pubblico più vasto, elettronica per tutti. I suoni di questo disco non si trovano altrove, non sono preconfezionati, alcune delle note, delle mie tastiere vanno dal grave all’acuto, suono con i piedi la pedaliera, creo suoni come un liutaio di me stesso e questo è il frutto di anni spesi nel “micro” a creare suoni, nel ricercare questo nuovo linguaggio MUMEX. E con Renato, con la mia volontà, abbiamo ascoltato delle mie cose, poi la grande amicizia, ma il senso che ci accomuna è essere portatori di qualità, la mia musica è vera, non è un bluff.

MB: L’album finisce con un gong, perché dà inizio e fine a una preghiera, una meditazione?

LS: Perché non esiste l’inizio e non esiste la fine, è tutto un ciclo e il gong è lo strumento che raffigura la liberazione, il culto della vibrazione. Io faccio musica per devozione e per essere curativo, portare qualcosa alle persone nell’ambito della guarigione. Della quale io sono solo un tramite. La vera musica è guarigione, terapia, amore, compassione, la più grande strada spirituale che esiste, non c’è una disciplina più profonda. So che la vibrazione ha un peso importante nell’evoluzione di questo pianeta. Dal punto di vista scientifico perché in tutti gli elettromedicali si è scoperto il potere degli infrasuoni, spirituale e della materia… quando usciamo da un concerto dal vivo, l’elettricità, l’energia che abbiamo nell’anima è la straordinaria forza della musica. Basta che gli artisti non stiano sotto la tavola dei potenti ad aspettare l’osso. Così sarai sempre uno schiavo. Allora vivi il tuo giorno da leone, con gioia, ma anche in libertà. 

Perché la vita in questo corpo è una e il passaggio è uno, non ne faremo 300 mila. Una sola volta sono andato da una medium, perché da sempre ho il dono della medianità ed era una medium che stava dall’altra parte del Tevere, di fronte casa mia ed era la medium di Fellini. Famosissima. Quando l’ho incontrata mi ha detto: “Maestro, ma perché sei venuto qui, tu non ne hai bisogno” e durante questo colloquio mi ha detto ancora: “Tu ti sei voluto incarnare per sperimentare la gioia attraverso il suono e la parola”. Spesso lo dimentichiamo, perché la situazione non è rosea e ci ingrigiamo, però non dobbiamo perdere di vista la gioia, ed è questo che mi ha reso possibile il legame con Renato, lavorando con il sorriso. La capacità di dispensare gioia per te e per gli altri.

Maurizio Baiata

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Intervista esclusiva al grande attore – Originalmente pubblicata su “OZ Orizzonte Zero” n. 10, Gennaio 2022

di Maurizio Baiata

23 Gennaio 2023

Abbiamo parlato con Enrico Montesano, da tempo schierato a favore della libertà di espressione, deluso da un Paese reso irriconoscibile dalla tracotanza di potere e dimentico dei principi della convivenza democratica e civile. Per questo, il grande attore ha scelto un esilio volontario dalle scene e percorre i sentieri tortuosi della comunicazione con lo sberleffo, la satira, la riflessione fulminante.       

Maurizio Baiata: Buongiorno Enrico, sono Maurizio Baiata.

Enrico Montesano: Buongiorno, ma scusi non ho capito, lei chi è, Maurizio Baiala…

Maurizio Baiata. Avevamo stabilito di sentirci oggi alle 12.

Ma questa che radio è….

Non è una radio, è una rivista mensile, OZ Orizzonte Zero. Sarei il direttore e ho 70 anni.

Ah, allora va bene.

Enrico mi devi scusare, se ci diamo del tu.

Sì, ma mi raccomando, vorrei leggere il testo prima della pubblicazione, visti i tempi che stiamo vivendo e quello che mi è successo nell’ultimo mese, perché se fa uno starnuto uno qualunque rimane uno starnuto, lo faccio io, diventa un affare di stato nazionale. Dopo 52 anni, di attori come noi ce ne sono rimasti pochi, quindi quello che dico io ha una risonanza e i miei legali mi hanno pregato di leggere attentamente sempre prima quello che… 

Sarà fatto. La nostra linea editoriale da alcuni mesi e dopo la prima copertina dedicata a Massimo Mazzucco e quella successiva a Nandra Schilirò (qui sotto, nella foto di Fabio Federici), Facebook ha posto alcuni blocchi, poi rimossi e ha lanciato avvertimenti, segno che diciamo cose interessanti. 

Sì, perché tutto ciò che esce dal politicamente corretto, dal pensiero unico… dà noia. Loro drizzano le antenne e dirigono certe attenzioni non piacevoli verso alcune persone, attività, siti web o riviste.

Riviste in edicola e organi di stampa che dicano quello che sta accadendo e riportino i fatti nei termini della cronaca, ce ne sono poche.

Hai ragione, qualche piccolo spiraglio si ha con “La Verità” di Belpietro e col programma di Mario Giordano. Per il resto abbiamo una uniformità e un asservimento totali.

Beh, comunque in Italia siamo bravissimi, per noi è un bel primato nel mondo occidentale.  

Noi sì, ci uniformiamo completamente… per 20 anni cosa abbiamo fatto? All’epoca quanti erano i fascisti? Trenta, 40 milioni, poi improvvisamente sono diventati 40 milioni di antifascisti. Un po’ è il carattere, la mentalità italiana. Però, devo dire che cercato di capire e mi ha sorpreso molto quando, il giorno dopo, sono usciti tutti di casa con una pezza in faccia, era là che bisognava rifiutarsi.

Al di là della caratura artistica e dell’umanità che hai sempre espresso, ci si aspetterebbe che il mondo della cultura e dell’arte avvertisse la responsabilità di comunicare con la gente, visto che si ha una credibilità nei confronti delle persone…

Certo, ma forse… le persone, gli artisti non vogliono perdere le posizioni di vantaggio acquisite, cioè il contrasto, mettersi contro     non ti dà vantaggi. Come ben vedi, oggi c’è la satira “a culo caldo” come la chiamo io, ovvero la satira contro chi si oppone al potere, mentre è sempre stata contro chi il potere lo detiene. Oggi invece la satira si fa contro i pochi che contrastano il regime, la situazione attuale. I comicucci di regime, tutti servi, c’è una servitù volontaria. Sai quel bellissimo libretto, il discorso di Étienne de La Boétie “La Servitù Volontaria”. Ecco, è questo, nessuno si schiera contro perché poi non trae alcun vantaggio da quella posizione.

Però, la generazione dei personaggi usciti ad esempio dalla scuola di Renzo Arbore…

Ma io dico, datemi un Gian Maria Volonté, dov’è un Volonté e dove sono tutti i miei colleghi che si batterono con il sindacato degli attori italiani per la questione Voce/Volto (Volonté fu alla testa della battaglia contro il doppiaggio italiano, N.d.R.) per i diritti degli attori. Oggi gli attori sono massacrati. O “magni sta minestra” per dirla alla romana, o ti butti dalla finestra.

Invece, quanti sono gli attori che si sono scagliati contro i resistenti, i consapevoli… non mi piacciono le definizioni che decidono i media di regime, no vax, no mask, no green pass, accomunando tutti i cittadini che oppongono un minimo di resistenza, che contrastano, che avanzano critiche. A loro volta, gli attori che hanno criticato questi cittadini hanno poi avuto bei vantaggi. Io li vedo in televisione, fanno serie TV, presentano, sono invitati, ecco il motivo per cui è difficile esporsi e andare contro.

Però, la generazione dei personaggi usciti ad esempio dalla scuola di Renzo Arbore…

Ma io dico, datemi un Gian Maria Volonté, dov’è un Volonté (nella foto sotto, nel ruolo di Bartolomeo Vanzetti, pubblico dominio) e dove sono tutti i miei colleghi che si batterono con il sindacato degli attori italiani per la questione Voce/Volto (Volonté fu alla testa della battaglia contro il doppiaggio italiano, N.d.R.) per i diritti degli attori. Oggi gli attori sono massacrati. O “magni sta minestra” per dirla alla romana, o ti butti dalla finestra.

Benissimo. Il che vuol dire che fra l’arte, che è una forma di comunicazione che dovrebbe scaturire dal cuore e…

Essere libera.

Ma quando in un giornale si fanno le riunioni di redazione, te lo vedi il direttore che comincia a dire “allora tu caporedattore degli Spettacoli di che parli?” – Risposta: del covid. “E tu agli Esteri come apri?” Col covid… non esiste più il giornalista che dovrebbe proporre al direttore diverse notizie di prima pagina e invece non lo fa, sono due anni che è tutto omologato.  

Io spero che la gente si stanchi. Anche chi la pensa come loro. Prima o poi spero che il pubblico, lo spettatore, il lettore si stanchino di sentire notizie monotematiche. Tutto in una unica direzione, senza contraddittorio… Ah, c’è però il trappolone di certe televisioni generaliste nazionali che invitano una persona contraria alla linea, un giornalista, un medico, un personaggio dello spettacolo, qualcuno come me – due o tre bravi – di non conforme al pensiero dominante, nella speranza che tu possa dire qualcosa. Appena riveli qualcosa… ti scagliano addosso tre doberman, tre mastini, è sempre tre contro uno, anche quattro, alle volte è il conduttore stesso a scagliarsi contro il malcapitato ospite, che è una voce di libertà. In questo modo fai il gioco della rete, perché fanno ascolto, fanno la trasmissione…

D’altra parte la cosa più semplice è il debunking, la pubblica demolizione della reputazione…

… Dell’avversario. 

Ѐ il loro sport preferito. Prendi il caso di Montagnier.

Loro ne traggono dei vantaggi, vivono di questo. Chi vive della calunnia, o calunniando gli altri si descrive da sé. Adesso i vincitori sono loro e sono anche padroni della verità. Ti sto per leggere un verso, una riga della prefazione de “I Sommersi e i Salvati” di Primo Levi: “In ogni modo il vincitore è padrone anche della verità. La può manipolare come gli pare”. In questo momento loro sono i vincitori perché detengono il potere, tutti i mezzi di comunicazione, a malapena prima abbiamo citato una testata e mezza che si differenziano. Loro dicono delle cose di un’enormità spaventosa, ma nessuno osa controbattere.

Qualcuno di noi continua a dire “guardate che il Re è Nudo” però siamo soffocati, è una cecità della massa, la servitù volontaria menzionata prima e di cui ho letto nel mio canale youtube. Sono stato attaccato soltanto perché avevo menzionato il contenuto di un articolo del quotidiano Il Tempo, a firma del direttore Bechis, che riportava i dati dell’Istituto Superiore della Sanità. Ecco, un inviato di una trasmissione… che non menzioniamo per evitare reazioni sconsiderate, un inviato che va nelle piazze – lo hanno fatto in due puntate – spero che la sete di vendetta si sia placata – sai, uno di quegli inviati che vengono zittiti, comandati a bacchetta a distanza e anche maltrattati dal conduttore, io li chiamo “il banalino di coda”, beh lui che fa? Attribuisce a me i dati dell’ISS e dice all’intervistata: “signora, lei è molto arrabbiata, vero, con Montesano per quello che dice”, suggerendo anche la risposta. Sapete cosa vi dico? Che voi ve la prendete con un altoparlante, un amplificatore, io sono stato solo un ambasciatore della notizia. Se la prendono con chi ha amplificato, chi ha trasmesso la notizia. Cioè un megafono. Prendetevela con quello che ci parla dentro.

Facciamo un’astrazione un attimo… Tu sei stato protagonista di uno dei film cult per eccellenza… inutile anche starlo a menzionare, a fianco di attori formidabili…

Sì e pensa tu, pure quel film è stato usato per darmi addosso.

In che senso?

Un senatore, o un deputato del Parlamento Italiano, che non nomino, ha detto: «Mah, uno che ha fatto “Febbre da Cavallo”…»… Ma magari l’avessi fatto te!!!

Risate

Ѐ un capolavoro, che ci vuoi fare e dopo 40 anni la gente ancora ride quando lo vede.

Il tecnico qui in studio che ci segue, sta facendo segni di giubilo.

Ma sì, a quello sarebbe da risponneje come Mandrake e er Pomata, o il povero Francesco De Rosa: “Ma fallo te, sei capace a fallo? Ma tu ch’hai fatto in 40 anni pe’ la Repubblica Italiana? Sta cippa de gnente. Hai solo preso i sordi e hai detto un po’ de fregnacce”. Scusa il romanesco, ma in questo modo lui non solo ha offeso due grandi attori che non ci sono più. A parte il grandissimo e straordinario Gigi, ma anche il buon Francesco De Rosa che era un grande attore di prosa, ma hai offeso pure i milioni di spettatori che amano “Febbre da Cavallo”. E tu mi devi offendere perché ho fatto un film di enorme successo come “Febbre da Cavallo”? Beh hai detto proprio una boiata.  

Uno scatto di scena di “Febbre da Cavallo” il film (1976) di Steno con da sinistra, Mario Carotenuto, Gigi Proietti, Francesco De Rosa ed Enrico Montesano.

Sai a cosa volevo arrivare? Rispetto a un cast di quel livello… al fatto che forse sarebbe bene che alcuni di voi, vi riuniste a mo’ di carbonari, sai una cellula di attori clandestini…

Questa è una buona idea… (ride)

Che a un certo punto, vi ritrovate in un seminterrato, e mandate messaggi alla popolazione con le vostre voci – dato che siete ahimé talmente riconoscibili – e dite le cose che vanno dette. “Febbre da Cavallo” non è soltanto la presa in giro di un determinato tipo di Italiani, ma anche la capacità di giocare…

Scusami se ti interrompo. Era la descrizione di un ambiente, fatta però con affetto. Non prendevamo in giro i giocatori di cavalli, era un atteggiamento di comprensione verso di loro, pur denunciandone ironicamente certi difetti. Abbiamo descritto un mondo che è sparito, che non c’è più.

Forse alla stessa maniera bisognerebbe mettersi insieme, senza apparire…

Sono d’accordo. La pensiamo allo stesso modo e questo mi fa piacere. Io non faccio più i video di letture. Faccio degli audio. L’altro giorno ho letto il mio ultimo audio che sta su Telegram, evito fognabuk e molti

mi dicono, perché non rifai i video? Non rifaccio i video perché non voglio che sul mio palcoscenico salga una persona per offendermi. Dicono: “Ma tu fai solo Telegram, noi così non possiamo commentare”“Ce rimette il giusto pé l’ingiusto”, come diciamo noi a Roma. Mi dispiace per te, cara Fiorella, Antonietta, tante ragazze e signore che mi scrivono, mi seguono più di 250 mila persone, quindi come faccio io a rispondere a tutti? Io sono un autarchico, non ho segretarie, lacché e servitori, quindi faccio da me. Ci rimettono alcune persone è vero, ma io ti presento una mia lettura su Telegram. L’altro giorno ho letto un brano di Giuseppe Prezzolini, molto bello, parla di com’era l’Italia, com’erano gli Italiani.

Qui sotto, uno scatto di scena di “Febbre da Cavallo” (1976) il film di Steno. Da sinistra, Mario Carotenuto, Gigi Proietti, Francesco De Rosa ed Enrico Montesano.

Oggi non so se farò un’altra lettura, vorrei leggere qualcosa da “Sommersi e Salvati” di Primo Levi perché in questo momento mi sento un sommerso e vorrei essere salvato, insomma…  a parte che Primo Levi è un grandissimo scrittore, è bello leggere, meditare e riflettere, per esempio lui dice una cosa che oggi si adatta, lo sai?

Sarebbe?

“Molti sanno poco, e pochi sanno tutto”.

Verissimo.

E la scrive negli anni Ottanta, nell’83 credo, “Sommersi e Salvati” è il suo secondo libro, in cui ripensa alle sue vicissitudini, si riferisce alla sua situazione, alla sua storia, ma è una frase che si adatta benissimo al momento attuale, vero? Molti sanno poco, perché queste persone non sanno. E quindi credono a quello che arriva attraverso la micidiale propaganda… capisci?

La propaganda. Il che ci riporta ad aspetti di noi come esseri umani, dotati apparentemente di coscienza e mossi da un’energia vitale. Mi riferisco a una risposta di Nandra Schilirò che fra poco si ritroverà a Firenze con non si sa quante migliaia di donne… è l’energia femminile che dovrebbe riportare un po’ di equilibrio, perché quella maschile…

Ma l’uomo è diverso, meglio lasciarlo perdere. Ma la donna è madre, allora tu madre accetti che tuo figlio venga sottoposto a queste vessazioni?

E non ti vengono in mente le Madri di Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos argentini…

Eccome no.

La rivoluzione la fecero loro, che osarono chiedere: “I nostri figli dove sono?”.

Sì, le coraggiose Madri di Maggio. Ma infatti dico, le mamme sono state plagiate anche loro? Io mi rifiuterei di riempire mio figlio appena nato di dieci vaccini, perché sono obbligatori, dopo l’infausto accordo che fece la sventurata Beatrice, lasciamo perdere il soprannome che le ho dato. Oggi guai a dire che tu su alcuni vaccini hai delle perplessità. Siamo dominati dagli interessi delle grandi case farmaceutiche. Dovremmo analizzare assieme a medici e ricercatori seri i vaccini necessari. Perché tutti, su qualunque mezzo di comunicazione, quando iniziano a parlare, dicono: “premesso che io non sono contro i vaccini”, perché lo devi dire, sennò sei bollato, sei un apostata, vai contro i vaccini, sei un appestato…

Montesano, in uno dei suoi personaggi protestatari.

Non puoi neppure dire free vax e che ognuno ha libertà di scelta.

No che non puoi. Noi siamo per la libertà, però non basta. Devi dire “io non sono contro i vaccini” se vuoi cominciare a parlare. Io replico, “quando dite no vax, dite una boiata”, perché io di vaccini me ne sono fatti quattro o cinque, tutti me li sono fatti, i vaccini storici. Ecco, io sono per il vaccino storico, ammesso e non concesso che anche questo non provochi qualche reazione avversa. Diversi medici affermano che l’antipolio ha generato dei problemi e, se leggiamo un libro un po’ scomodo forse, “Nemesi Medica” di Ivan Illich, non so se si pronuncia Illicc, perché se è tedesco dicono che deve essere dolce… m’hanno corretto pure su Illich, secondo loro dovrei essere un tuttologo… ho letto un nome tedesco e quelli da fognabuk attaccano “no! Il tedesco è dolce!” e chissene frega che è dolce, ma a me il nome mio quando vado in America o in Inghilterra me lo storpiano. Quindi come direbbe Femo Blas (il rapper interpretato da Montesano, N.d.R.), “Non me rompete er ca”. Dunque, Ivan Illich in “Nemesi Medica” dice che nonostante l’avvento dell’antitubercolosa, la tubercolosi stava diminuendo naturalmente e alla questione dedica un capitolo includendo anche un grafico.

Perché accade così, per le migliorate condizioni di vita, o alimentari, o di igiene… ma se queste cose le prospetti anche timidamente, poi ti mettono a tacere. Lo hanno fatto con il dottor Citro, la dottoressa Bolgan, all’inizio lo diceva anche Tarro, il professor Montagnier, tutti questi emeriti riconglioniti (definizione del professor Bassetti, N.d.R.) e mettiamoci anche Didier Raoult e una flotta di medici tedeschi, americani, inglesi, il dottor Christian Vélot, beh io sulla mia pagina li ho pubblicati tutti.

Poi bisogna premettere: “Io non sono un medico” così tutti ti possono dire: “Allora perché te parli di macchine, che sei un ingegnere meccanico, automobilistico? No. Allora stai zitto”. E se tutti parlano di calcio, dicono: “Perché sei un allenatore tu, sei un preparatore atletico? No. Allora statti zitto!”. E invece, vuoi sapere perché noi parliamo di cose che non sappiamo? Vivaddio! Ne parliamo perché ci facciamo una nostra opinione. Più o meno corretta…

Perché cerchiamo di informarci.

Esatto!!! Loro non suppongono che io possa aver letto qualche libro o aver avuto varie conversazioni con medici, come la dottoressa Antonietta Gatti, che è una ricercatrice, una scienziata, il dottor Montanari, il dottor Amici, un vero combattente, il dottor Roberto Petrella.

La dottoressa De Mari è fortissima.

Ah, Silvana De Mari! Ho parlato con lei ieri al telefono. Una donna straordinaria. Il virus non si sconfigge!

Un virus la cui natura ed esistenza sono ancora da determinare.

Quindi loro partono da un postulato completamente errato, ma accettato supinamente, che il virus si deve sconfiggere. I virus non si sconfiggono. Questa cosa è sfuggita di bocca anche a Walter Ricciardi in un’intervista, esiste il video, basta cercarlo. Ricciardi, era intervistato da uno di questi mezzibusti venduti, collaborazionisti colpevoli e responsabili, peggio del regime di Vichy, che gli chiedeva: “Ma dottore, il vaccino va bene?” Lui rispondeva “No, perché il virus, quando il vaccino entra nel corpo, l’antigene, l’effetto del vaccino… il virus lo incontra e siccome il virus vuole vivere, lo aggira”. Ha usato questa parafrasi, lo aggira che vuol dire? Che il virus si modifica. Eccoci! A un medico vero, ogni tanto gli sfugge, la verità, può scappare. Il virus si modifica. E quindi? Lasciatelo perdere. Deve perdere carica virale. Avevamo detto, molti sanno poco e pochi sanno molto. E quei pochi che sanno molto continuano a dire falsità perché evidentemente sanno cose che noi non sappiamo.

E la Chiesa? Onnipresenti su tutto, il divorzio, l’aborto, tutte le grandi questioni da loro affrontate sino a qualche tempo fa, ma per quanto riguarda questa… da loro sono arrivate solo delle encicliche con cui hanno dichiarato: ha ragione la Scienza. Hanno dato alla scienza di Stato il crisma del dogma.

La Chiesa che ha sempre combattuto la Scienza, Galileo ci ricorda qualcosa. La questione non chiara è che si usino parti, elementi… no, sono linee genetiche, di feti abortiti. Cosa vuol dire linee genetiche. Esce una notizia, subito dopo dicono che è falsa, per creare confusione. Anche quando non è una falsa notizia. Ma no, sono dei feti abortiti, conservati, degli anni ’60. Ma come li hanno conservati negli anni ’60? C’erano già questi metodi di conservazione? Se sono un cattolico apostolico romano, un credente e si parla di feti abortiti, per motivi religiosi io questa cosa posso rifiutarla. Sono un obiettore di coscienza. Posso esserlo, a ragion veduta. Perché è nella dottrina, allora non posso dannare la mia anima per un’iniezione. Siccome sono profondamente cristiano – la distinzione fra cristiano e cattolico mi sembra fondamentale – nato cattolico, mi sono meravigliato quando a Pasqua del 2020, mi pare, ho trovato la mia chiesa chiusa il Venerdì Santo per motivi sanitari. La prima volta da quando esiste la Religione Cristiana. Madre Teresa andava in mezzo ai lebbrosi, San Francesco abbracciava gli infermi, nessun prete è andato a confortare le persone malate e sottoposte a una cura errata. Nessuno lo può dire, perché lì ci saltano addosso…

Vuoi dire che questo non possiamo scriverlo?

No. Lo dicono tutti: nessun sacerdote è andato a confortare i malati. Ricordo che non potevano avvicinarsi, gli passavano le cose attraverso la plastica, mi sembrava tutta una grande messinscena. E qualcuno mi urla addosso: “No! Dicendo così non si rispettano i morti”. Io, stavo citando un articolo di un giornale che riportava i dati statistici dell’Istituto Superiore della Sanità – una cosa che la figlia di un Generale ucciso dovrebbe ben capire – e lei mi ha apostrofato, perché io non rispettavo i morti. E l’altro, un senatore che non voglio nominare, e un deputato, non so quali vantaggi abbiano tratto l’Italia dal loro operato di grandi statisti. Ehhh, ci sono stati i morti. La retorica dei morti. Quei poveretti stavano male e lasciati soli non hanno avuto un conforto religioso, beh, i primi che non li hanno rispettati siete voi. Perché gli avete dato una cura errata, tachipirina e vigile attesa. Li avete intubati, che non era necessario, li avete fatti morire. Dopo qualche mese hanno scoperto che: “no guarda, così gli bruciamo i polmoni, quelli hanno degli emboli polmonari”… e allora? Ve la prendete con chi indica la Luna con il dito, guardate il dito e non guardate la Luna. Noi stiamo indicando la Luna, guardatela! Non capisco questa cecità volontaria.

Ci sono momenti nella vita che fanno davvero pensare. Mi colpisce il fatto che ci sarà Robert F. Kennedy Jr. a Milano.

Ah sì, Dio lo benedica!

Pensi che abbia scelto lui di venire in Italia, oppure…

Ѐ un segnale forte. Ha capito che qui si gioca una partita importante. Quello che a molti invece sfugge.

Se il Presidente Kennedy, a Dallas, sotto fuoco incrociato, viene fatto fuori, evidentemente ci sono delle ragioni.

Ecco, ma noi abbiamo creduto anche a quella favola! Crediamo alle favole. Non sono parallelismi azzardati. Levi diceva: “Hanno fatto finta, i Tedeschi, di non sapere quello che succedeva” e aggiungeva qualcosa sulla scarsa affidabilità dei ricordi, cioè: “La memoria umana è uno strumento meraviglioso… Lo sanno bene i magistrati, non avviene quasi mai che due testimoni oculari dello stesso fatto lo descrivano allo stesso modo”. Ѐ straordinario, vero? Mai, mai, dei miei amici uno dà una versione, l’altro ne dice un’altra, non concordano mai. Io credo che il danno maggiore lo abbiano fatto i collaborazionisti del nostro Paese, che sono tanti, lesti al servizio, alcuni in buona fede, altri perché prezzolati, evidentemente. Levi scrive: “Anche le istituzioni e le tecnologie si trasformano. La storia si ripete, ora l’idea che momenti così desolanti possano ripetersi è insopportabile. Ѐ avvenuto, è avvenuto, quindi può accadere di nuovo. Questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.  Nella prefazione di Tzvetan Todorov, scusa se mi sfugge la pronuncia giusta, tanto ho capito che tu sei romano come me…

Abbastanza, però, tu della Garbatella, io di Monte Sacro…

Bravi e gajardi, siamo. Todorov è calzante. Si preoccupa della “proliferazione di quei fattori che hanno reso l’orrore possibile, magari in altri Paesi sotto altro nome, con nuove giustificazioni, non raggiungendo lo stesso parossismo, ma producendo quanto meno (massacri, spero di no) sofferenze senza fine.”

Già ci siamo alle sofferenze. Tu parlavi delle mamme e le donne che con la Schilirò si riuniranno a Firenze. Mi rivolgo alle mamme: cosa sapete di questo siero misterioso che è in fase sperimentale e la cui sperimentazione termina nel 2023? E viene inoculato nel corpo del vostro bambino di 9-10 anni, perché fate questo? Ma un dubbio non vi viene? Lo dico da sempre e per questo mi hanno attaccato. Io sono uno spacciatore di libri e di pensieri di libertà. E piuttosto che un siero, inoculo un dubbio. 

Un’altra cosa la prendo dal grande scrittore e filosofo tedesco Günther Anders, che è il suo nom de plume (pseudonimo di Günther Siegmund Stern, N.d.R.), che nel libro “L’uomo è antiquato” scrive: “L’artista deve dire l’indicibile” e io l’ho detto perché oggi non si può dire quello che dico io, ma gli altri si sono tutti allineati, anzi hanno parlato male di noi che osavamo criticare questo sistema, il regime nazista sanitario. Quelli che mi hanno meravigliato di più? I colleghi che hanno fatto la pubblicità al cosiddetto vaccino.

Che si toccavano il braccio con le dita a V.

Lo trovo allucinante. E trovo allucinante che i collaborazionisti, dai mezzibusti più autorevoli agli opinionisti da strapazzo, dicano che bisogna fare intervenire l’esercito, che il non fare il vaccino è come essere un renitente alla leva, un disertore. Facendo un accostamento, consentimi, mettono insieme la plastica coi carciofi, insomma a pene di segugio – Steno diceva uccelli senza zucchero, se qualcosa sul set non andava.

Paolo Panelli, Delia Scala e Nino Manfredi in Canzonissima 1969

Ma Paolo Panelli ti manca?

Soprattutto la sua ironia e la sua intelligenza.

Era una generazione di attori di età più grandi di te, quindi tu apprendevi da loro…

Sono stati i miei maestri. Walter Chiari, Delia Scala, Aldo Fabrizi col quale ho fatto per tre o quattro mesi una vita in simbiosi con “Rugantino” e Manfredi… quando ho girato con Manfredi correvo come un pazzo, perché tutto quello che avrei voluto dire io di cose che non quadravano, le aveva già dette lui cinque minuti prima. Stupendo. E Panelli era formidabile, intelligentissimo.

A proposito di Panelli, per me sono indimenticabili le sue battute che iniziavano con “Possino”…. Le uso spesso sai, ma io ne conosco una che non so da dove arriva e il cui significato è comunque quello di augurare a qualcuno di andare in una certa via…

Dai. Dimmela.

Beh io li mando in Via Pitelander.

Grande, la posso fare mia?

Assolutamente. Per me è un onore. Grazie Enrico, dal profondo del cuore.

Grazie a te, Maurizio, mi ha fatto piacere. Ci risentiamo presto.

Nota: Intervista originalmente pubblicata sul n. 10 di “OZ Orizzonte Zero” (mensile edito dalla X-Publishing) come storia di copertina, nel Gennaio 2022.

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La mia Prefazione

di Maurizio Baiata, 4 Novembre 2022

A volte possono sembrare storie di un’altra vita, ma non mi sono mai privato del loro ricordo. Mi è servito per capire meglio ogni giorno realmente chi siamo e come viviamo nel presente. Soprattutto nella Musica, Arte che si esprime nel PERSEMPRE, ciò che respiriamo viene da quello che siamo stati e che saremo. Nel cercare e nel rileggere le tracce del mio passato di giornalista musicale, con un po’ di presunzione ho pensato che tutto era stato scritto e detto e che se le nuove generazioni oggi scoprono un suono, un disco, un volto, questo avviene anche grazie a chi allora ne ha narrato. Con passione, alcuni anche con coraggio, facendo errori madornali di giudizio e alla fine con la più totale certezza di essere ricordati come cronisti di un’epoca mitica sì, ma non leggendaria, reale e contraddittoria, testimone infine della terribile sconfitta di una generazione che viveva di sogni.

Nella seconda metà degli anni ‘60 frequentavo il Liceo Scientifico San Leone Magno dei Fratelli Maristi. Non andavo granché bene, tranne che nelle materie umanistiche, grazie a Walter Mauro, il mio professore di Italiano e Latino, grande giornalista, critico letterario, autore del fondamentale “Jazz e Universo Negro”, che mi impartì lezioni di pensiero per tutti gli anni, sino alla Maturità. Al quarto mi rimandò in Latino, perché si era accorto che lo traducevo all’impronta e che della grammatica nulla mi interessava, né avevo studiato. Imparai la lezione poi, su suo consiglio, l’anno dopo alla maturità presentai una tesina sulla Beat Generation che mi garantì la licenza liceale con un 36 tondo tondo, visto che nelle materie scientifiche feci pressoché scena muta. Walter Mauro era in commissione e mi congedò dicendomi che sapevo scrivere e sembravo possedere una buona predisposizione al giornalismo, ma avevo la testa troppo tra le nuvole.

A quel punto però ero diventato amico di Enzo Caffarelli, anch’egli con un anno meno di me nella sezione B dello Scientifico del San Leone e studentello di “Walterone”. Si parlava spesso di musica, durante la ricreazione. Sapevo che Enzo collaborava con Ciao 2001, compravo la rivista e seguivo la sua rubrica di recensioni “Underground & Pop”. Enzo un giorno mi disse che Saverio Rotondi, il direttore del Ciao, voleva inaugurare una rubrica sulle motociclette, mia smodata passione e dissi che l’avrei curata io, la qualcosa avvenne con il numero 44 del 4 Novembre 1970. Una cosetta di una colonna e mezza, le notizie arrivavano dal mensile “Motociclismo” (alcune fornite dal mitico Roberto Patrignani) e le foto le ritagliavo qua e là, uno spazio che credo incise ben poco sul substrato culturale del mondo giovanile a due ruote, ma andò avanti per diverso tempo.

Il sommario del numero 47 di Ciao 2001, 25 Novembre 1970, menziona il mio articolo sul “dark sound”.

Il mio esordio musicale fu un articolo dedicato al “dark sound”, proposto a Caffarelli e accettato da Rotondi, intitolato “Esplode la Musica Nera” (Ciao 2001 n.47 – 25 Novembre 1970). Vi descrivevo le ricerche e le ansie di un genere che mi interessava perché toccava i mondi dell’ignoto, in collegamento con la poesia ossianica e gli scritti di H.P. Lovecraft, William Blake, Mary Shelley e Bram Stoker, il che si trasferiva in un nuovo, dirompente suono che, a mio avviso, era incarnato soprattutto dai californiani Iron Butterfly, quelli dei micidiali 17 minuti psichedelici di “In A Gadda Da Vida”.

Data l’altra mia grande passione, il basket, scrissi un articolo su Lew Alcindor, allora pivot della squadra dell’UCLA e poi divenuto mega stella della NBA con il nome di Kareem Abdul Jabbar. Le informazioni e le foto in bianco e nero me le aveva fatte arrivare da Los Angeles mio fratello Bill B. Bates, che insegnava Lettere Straniere alla grande Università della Calfornia. Il pezzo, intitolato “Il Batman del Basket” apparve sul n. 49 del 9 Dicembre 1970, poi uscì sul n. 52 del 30 Dicembre un ritratto di Cassius Clay intitolato “Pugni, Pace e Polemiche”. Sul n. 50 1970 firmai per la prima volta la rubrica “L’Angolo del Pop”, nata già da tempo per rispondere alle numerose richieste dei Lettori in materia strettamente musicale. La rubrica era una autentica palestra dell’ardimento, ogni settimana alle prese con ragazzi preparatissimi che volevano esprimersi sulla “loro” rivista. Sentivo intanto l’urgenza di oltrepassare la linea editoriale soft del Ciao, uno strano mix – peraltro funzionale in termini di vendite – di costume giovanile, “leggero impegno politico”, divi plastificati e da “Canzonissima”, di gruppi pop angloamericani di alta classifica ed epigoni del beat nostrano. Insomma si poteva saltare dal Rock sinfonico dei Deep Purple a una Iva Zanicchi tutta boccoli in copertina. In redazione, al numero 2 di via Boezio, mi recavo due volte la settimana. Ci trovavo i redattori Fabrizio Cerqua, Luigi Cozzi, Daniele Del Giudice, Tonino Regini (alias Scaroni) e Giuseppe Resta e spesso anche i collaboratori esterni. Simpatizzai con il variopinto Dario Salvatori, super esperto di Jazz, con Renato Marengo, titolare della rubrica “Disco-Grafica”, in cui recensiva i suoni dei dischi attraverso la creatività delle copertine, punta di diamante e “motore” della nuova musica partenopea che lui chiamò Napule’s Power.  A loro nel ’73 si aggiunsero le talentuose Fiorella Gentile, intervistatrice sensibilissima presto divenuta star radiotelevisiva con “Popoff” e “L’Altra Domenica” del clan Arbore, e Maria Laura Giulietti, redattrice scrupolosa, grande appassionata di Jazz, Blues, California alternativa e il Rock al femminile. In quegli anni i corrispondenti erano Michel Pergolani da Londra e Armando Gallo da Los Angeles e le loro cronache, interviste ed estesi reportage fotografavano puntualmente i movimenti sia musicali che sociali che si dipanavano nel mondo in quel periodo. Nel tamburino il roster dei collaboratori cambiava e si arricchiva continuamente di nuovi nomi. Chi scriveva… troppo doveva usare uno pseudonimo e io mi accordai con mio fratello Claudio per usare il suo nome, con l’aggiunta di Bates, dal ceppo familiare paterno italoamericano.

I “corrieri cosmici” Popol Vuh. Il primo a sinistra è il leader, Florian Fricke. © Popol Vuh

A proposito di padri, Rotondi era un papà burbero, ma buono, che mi ripeteva sempre, disinvoltamente passando dal lei al tu: “Baiata, sa cos’e? Tu quello che mi porti in 30 righe lo deve scrivere in 10”. Non lo ascoltavo eppure sorprendentemente i miei pezzi anche extra lunghi passavano, senza alcun taglio. Il borderò mi consentiva molto di più di una paghetta settimanale e, privilegio assoluto, stavo diventando un critico musicale a 20 anni senza conoscere il pentagramma, né aver mai suonato uno strumento. La Musica Cosmica tedesca era la mia stella cometa, scrivevo non so come, ascoltavo i dischi e martellavo la Lettera 32 sino a tarda notte,traducendo quello che sentivo in parole. Gli altri critici del Ciao 2001 che seguirono (anche Manuel Insolera e Marco Ferranti venivano dal San Leone ed erano amici di Caffarelli) avevano un loro stile, ma a mio avviso dimentichi (ignari non posso crederlo) della forza socio-rivoluzionaria che il Rock possedeva. Rivalità fra di noi ce ne erano, ma le lasciavamo sul piano personale in un settimanale ad altissima tiratura e vendite inusitate che nel 1972-73 giravano attorno alle 300 mila copie. In questo senso, ai gruppi emergenti di Rock italiano – fra loro talenti autentici e formidabili – il giornale a mio avviso non prestava l’attenzione che avrebbero più che meritato. I critici del Ciao cercavano di anticipare i tempi, di avere in mano l’ultimo album originale prima che la casa discografica italiana lo stampasse (quando lo faceva), di intervistare l’artista di passaggio in Italia o di andare in Inghilterra per un’anteprima. In tal senso, esisteva anche una rivalità con la trasmissione radiofonica della RAI “Per Voi Giovani” di Paolo Giaccio, con le voci di Teresa Piazza, Carlo Massarini, Massimo Villa, Claudio Rocchi, Mario Luzzatto Fegiz, Michelangelo Romano, Raffaele Cascone e così via… diciamo che noi scrivevamo e loro parlavano. I rapporti con i promoter e i label manager della EMI, RCA, CBS, RICORDI, PHONOGRAM, FONIT CETRA ed etichette varie, per lo più positivi, potevano diventare tesi solo quando certi accordi dietro le quinte – se esistevano – fra le major e la Direzione della rivista, divenivano “scomodi” o ingestibili. Personalmente, mai ho subito pressioni per compiacere una casa discografica. A metà del 1974 qualcosa si incrinò dentro di me, dovevo lasciare il Ciao, non volevo fare parte di un giornalismo “pop” e leggero, inserito nello show business, mentre gli incidenti ai concerti e le cariche della polizia avevano reso l’aria irrespirabile e, di questo sono convinto, la strategia era stata pianificata e generata non da una protesta proletaria o da istanze alternative, quanto invece da un sistema che aveva scelto di insinuare la violenza fra le fila del dissenso giovanile – soprattutto di sinistra – per minarne la consistenza culturale e disintegrarne la forza aggregativa della condivisione musicale. Forse anche per questo, decisi di provare l’ebrezza della casa discografica, accettando di entrare in RCA con un contratto di consulenza che mi consentì di conoscere dall’interno i meccanismi industriali di produzione, marketing e promozione del… Ministero della Musica Italiana. Ebbi la fortuna di incontrare grossi artisti stranieri e di accompagnare in tour Il Perigeo e Antonello Venditti, musicisti seri, che non si sono mai fermati anche nelle date più infuocate dei palazzetti e dei teatri a soqquadro. Contemporaneamente, l’ansia dello scrivere in libertà non mi aveva abbandonato e l’anno successivo, lasciata la RCA, sarei approdato nel Collettivo di Redazione del mensile Muzak, un’avventura alla quale ho dedicato un capitolo nel libro “Gli Alieni mi hanno salvato la vita”. Tempi che ricordo con rabbia e con gioia, sentimenti inevitabili quando si ha la ventura di viverli come collaboratore, redattore e direttore, prima nei terribili “anni di piombo” e poi a New York, nel periodo più caldo della Presidenza Reagan. Ma questa è un’altra pagina di vita che racconterò attraverso gli articoli, le interviste e le sincronicità del secondo volume di “ROCK MEMORIES”.

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Editoriale/articolo di Maurizio Baiata

2 Novembre 2022

L’articolo che appare dopo questo breve testo introduttivo, risale alla fine degli anni Ottanta, quando in me la ferita della morte di John Belushi non si era ancora rimarginata, e guarita non lo è ancora oggi. Lo scrissi, paragonandone un po’ il destino di attore scomodo alla figura artistica del principe De Curtis, in arte Totò. Per entrambi, il popolo aveva decretato un successo straordinario perché insuperabili nel far ridere la gente che era sulla loro stessa lunghezza d’onda. Ma per la critica e la casta del cinema, che fosse Hollywood oppure Cinecittà, erano parte di un sottobosco, immeritevoli di cenare allo stesso tavolo di produttori e registi di grido, erano guitti da avanspettacolo. Due spiriti liberi come loro, il meglio lo avrebbero potuto dare se e quando i registi li avessero compresi e ne avessero valorizzato le qualità anche drammatiche, non da meri attori comici.

E, per me, parlare di Belushi torna prepotentemente attuale alla luce della sua fine, improvvisa e drammatica. Fu il suo personal trainer Bill “Superfoot” Wallace, la mattina del 5 Marzo 1982 a trovarlo privo di conoscenza nella sua stanza dello Chateau Marmont, albergo sul Sunset Boulevard, nella zona di West Hollywood a Los Angeles. Il campione di karate cercò di rianimarlo, ma fu tutto inutile. John era stato stroncato da un micidiale mix di droghe pesanti, eroina e cocaina. Il mattino dopo scrissi un fondo che Il Progresso Italoamericano pubblicò in prima pagina. Se ben ricordo, si intitolava “Se alle star del Rock non si perdona”. Perché la campagna diffamatoria era già partita. Dicevano che se l’era cercata, era un depravato, un drogato, la cui vita sregolata era un pessimo esempio per i giovani americani che lo idolatravano. Se moriva una rock star poco male, dunque. E quella notte tutti lo avevano lasciato solo a morire, se lo meritava. Per forza, appartenevano ad un altro mondo, un’altra realtà che a lui non faceva paura e che trattava con lo sberleffo, la battuta sarcastica, il “ma mi faccia il piacere” di Totò che significava “io da questa roba sto alla larga”. Epica una battuta di Belushi in una scena di “The Blues Brothers”: “Io li odio i nazisti dell’Illinois!”, una battuta che oggi vale molto di più di 40 anni fa.

Quando la libertà viene messa palesemente in discussione con un decreto legge che, palesemente, può essere applicato nei confronti di chiunque si associ a più di 50 di suoi simili sospettati di dissenso, non mi sembra possa interessare solamente una generazione che nei “rave” ha trovato a torto o a ragione un mezzo usato di tanto in tanto per andare oltre il grigiore dei nostri giorni. Ora, mi ritorna in mente una frase simbolo della controcultura giovanile, la “Sex and Drugs and Rock & Roll” coniata dall’artista punk inglese Ian Dury nel 1977… La ricordate? Wow, quanti guai ha combinato, vero? E basta il ricordo di Bluto per commuovermi facendomi sorridere.

Il Senatore Blutarski riposa felice a poca distanza dalla sua villa di Malibu, in un boschetto pieno di fiori, con le aiuole ben curate dal fido Chance Giardiniere. Si è spento dolcemente, confortato nel momento del trapasso dalla vetusta governante, Mary, dal maggiordomo Stewart e i vicini di casa, il proprietario terriero Aykroyd e consorte, notoriamente dedita all’allevamento di bachi da seta. Il Senatore Blutarski è morto all’età di 87 anni, dopo averne spesi più di sessanta al servizio della Nazione, dello stendardo a stelle e strisce e della pubblica moralità. È stato un esempio, un modello per tutti, soprattutto per le nuove generazioni.

In realtà la storia di “Bluto”, questo il soprannome dell’integerrimo senatore, è un po’ diversa. Bluto è stato – nei pochi anni della sua esistenza terrena – il più irriverente cattivo esempio, il più eccessivo e oltraggioso bestione del cinema americano. Uno che a Washington ha assestato scossoni violentissimi e disgustosi, come quel gigantesco brufolo spremuto in faccia ai bacchettoni compagni nella cafeteria del college.

E perciò non riposa in un campicello fiorito, la sua anima è andata diritta in purgatorio, se è andata bene (c’è chi dice di averla vista vagare per i bassifondi di East Los Angeles – ahimé mal frequentati): il capitolo della sua vita è insomma scritto a chiare lettere nel libro dei cattivi. Alla lettera B come Belushi. Al funerale di John, il fido Dan precedeva il feretro in sella a una Harley Davidson (i due amici se l’erano promesso, di accompagnarsi sino alla fine alla loro maniera), ma poche altre nomi di Hollywood erano presenti, la maggioranza rintanata nel tepore di ville di plastica, protette da gorilla di plastica, vivendo una vita di plastica. Falsa e immorale, nella vergogna di non brillare quel giorno. Dato che Belushi ciò che ha fatto lo ha fatto alla luce del giorno. Si è ammazzato davanti a tutti ingurgitando quei cocktail di “speedball” (la mistura di eroina e cocaina sparata per endovena) conditi da alcool e psicofarmaci. Morendo male, malissimo. Da solo.

Una domanda, alla sua memoria: che ci sia un posto, magari nei dintorni del Paradiso, dove tutti questi angeli maledetti stanno lì, a divertirsi, ridendo, cantando e suonando? Se c’è, John Belushi guida una sgangherata compagnia di increduli talenti destinati all’eternità. Un’armata alla cui testa troviamo lui, scimitarra in pugno, maglietta nera con scritta oscena sopra, bandana da pirata sulla testa, che urla a squarciagola “Siamo tutti qui e nessuno ci può fermare!”.

Il talento di John Belushi, la sua irrefrenabile forza d’attore puro non sono stati – nelle pellicole interpretate – recepiti e compresi completamente. Ad un’analisi di questi film, se appaiono chiare le caratteristiche dissacranti del suo essere totalmente in sintonia con i personaggi partoriti sotto la guida di Landis (ad esempio), vi si leggono anche i limiti di sceneggiature e regie che hanno “compresso” l’uomo prima che liberare l’attore. Chiuso in se stesso nella vita, John sfogava in celluloide ciò che gli veniva richiesto, goliardia pura e velocità carnascialesca. Vi si vedono – seppure trasversalmente – gli stessi problemi incontrati da Totò, anche lui sfruttato vergognosamente sino alla fine, tranne rare eccezioni, vedasi Pasolini. E, come per il principe De Curtis, Belushi ha espresso il meglio quando è stato lasciato totalmente libero di penetrare nelle pieghe della comicità autoironica, sarcastica e triste, psicologicamente perdente e non nella macchietta e nella satira tout court. Restano – è vero – immortali le sue gag di uno sgangherato capitano Kirk dell’Enterprise, o di un Ludwig van Beethoven sordo come una campana che si trasforma in Ray Charles, ma, a chi ne abbia amato le performance mirabolanti del Saturday Night Live e successivamente il suo cameo nello special fine serie del fortunato show, resta ancor più viva l’impressione di quegli occhi grandi e soli che vagano sulle tombe degli amici, in un epitaffio a rovescia che lascia con il cuore trafitto nei lunghi struggenti istanti in cui John recita il suo addio alla vita per presto ricongiungersi ai colleghi defunti.

Una sconfitta totale, la morte di John Belushi, per molti di noi che avevamo creduto in lui. E in un’altra Hollywood che non è mai esistita.

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Jerry Cutillo & O.A.K.

Recensione di Maurizio Baiata – 31 Ottobre 2022

Se al genio viene impedito di comunicare il proprio pensiero, di fornire prove tangibili dei risultati che la sua opera produce, se quando al risveglio del mattino i suoi occhi si spalancano oltre le frontiere del cosmo e nel contempo gli si nega il diritto di sperimentare oltre le barriere, si direbbe si viva ancora in pieno oscurantismo dove il pensiero dominante è quello della chiesa, qualunque essa sia, anche quella della scienza ufficiale.

Dal dodicesimo secolo in poi con l’inquisizione, sino a Giordano Bruno… il lume della ragione, ma solo terrena e umana, ha sempre dominato nel “vecchio continente” e se da una parte c’era già lo sguardo verso il cielo degli astronomi, nel tempo di Galileo e Keplero erano gli strumenti ottici dell’epoca a guardare verso le luci della notte, possiamo anche immaginare che un’altra tensione, quella del Suono, proiettasse i liberi spiriti verso la Luce.

Oggi Jerry Cutillo e i suoi O.A.K. aprono l’album “Lucid Dreaming and the Spectre of Nikola Tesla” come si apre un libro magico delle meraviglie terrestri, passanti da “La Danza delle Ore” di Ponchielli a “L’Apprendista Stregone” di Dukas, nelle renditions animate di Disney. Si inneggia alla “LUCE” in “Everything is Light” e si badi non è uno slogan da newagiani fulminati, qui si tratta di un album di Rock Progressivo che nei testi, nei suoni, nelle atmosfere, nei racconti che ripercorrono idealmente la vita di Nikola Testa, l’Uomo Fuori dal nostro tempo (quello che sentiamo scorrere), potevano solo essere resi nella forma di suite, divise in movimenti senza soluzioni di continuità. A quello che parrebbe essere un “concept album” Cutillo ha dato un respiro di natura quasi selvaggia, quindi libera la tua immaginazione, caro ascoltatore, in questi solchi non troverai solo la storia del genio croato, ovunque ci sono alchimie inusuali, come quelle di flauto e percussioni e negli impasti vocali scorre l’adrenalina della tensione dell’Uomo Tesla in una città che lo vide osannato e sopraffatto, la “New York” che lui avrebbe voluto illuminare grazie al suo libero pensiero assoluto.

Non si può essere sottoposti a una ragione da considerare come una divinità pagana, se non si sogna. “Learn to Run in Your Dreams” è a mio avviso il pezzo centrale dell’album, la portante della seconda facciata che dà luogo alla magnifica “The Comet and the Dreamer” con l’entrata vocale di Oljia Karpova e si capisce che se davvero la ragione è una dea femminile, è solo umana. Musicalmente, qui Cutillo osa ancora più che in passato, sia rispetto a “Giordano Bruno” sia a “Nine Witches”, avventurandosi su ascese piene e potenti con andamenti orchestrali, come in “White Wings”, e l’incedere facendosi drammatico non è mai stucchevole, la ritmica ha una progressione che d’improvviso ci regala un wha wha quasi ancestrale che dialoga col flauto. Si capisce, è vero, fin qui il cammino è stato sin troppo intenso. Allora, per questo, il lavoro di Cutillo vuole salutare il genio di Tesla con dolcezza, affidandosi alla voce di Laura Piazzai nell’apertura di “Silver Cord” come a creare un ponte di voce e suoni con Lui, la solennità di una chiesa, ma sconsacrata. Mi ha ricordato, nei brividi che percorrono il mio corpo in chiusura, la “Gandharva” di Beaver & Krause, in cui anziché al sax di Gerry Mulligan tutto viene affidato alle astrali note della Piazzai.     

Se avessimo dovuto aspettare ancora un secolo per rendere omaggio in musica al genio più misconosciuto della nostra era moderna, tutto sarebbe rimasto uguale. Invece in un coraggioso album di rock d’avanguardia, il fulgido passaggio di Nikola Tesla in Terra viene ricordato con emozione e Amore e nessuno lo può tacere. Perché non è vero che là fuori nessuno ci ascolta. E Nikola tiene accese tutte le luci del cielo nella nostra anima. 

Oltre che nei negozi specializzati, il cd si può acquistare entrando nel sito della casa discografica Aereostella che lo pubblica, a questo link:

https://www.aereostella.com/categoria-prodotto/e-shop/

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