La mia Prefazione
di Maurizio Baiata, 4 Novembre 2022
A volte possono sembrare storie di un’altra vita, ma non mi sono mai privato del loro ricordo. Mi è servito per capire meglio ogni giorno realmente chi siamo e come viviamo nel presente. Soprattutto nella Musica, Arte che si esprime nel PERSEMPRE, ciò che respiriamo viene da quello che siamo stati e che saremo. Nel cercare e nel rileggere le tracce del mio passato di giornalista musicale, con un po’ di presunzione ho pensato che tutto era stato scritto e detto e che se le nuove generazioni oggi scoprono un suono, un disco, un volto, questo avviene anche grazie a chi allora ne ha narrato. Con passione, alcuni anche con coraggio, facendo errori madornali di giudizio e alla fine con la più totale certezza di essere ricordati come cronisti di un’epoca mitica sì, ma non leggendaria, reale e contraddittoria, testimone infine della terribile sconfitta di una generazione che viveva di sogni.
Nella seconda metà degli anni ‘60 frequentavo il Liceo Scientifico San Leone Magno dei Fratelli Maristi. Non andavo granché bene, tranne che nelle materie umanistiche, grazie a Walter Mauro, il mio professore di Italiano e Latino, grande giornalista, critico letterario, autore del fondamentale “Jazz e Universo Negro”, che mi impartì lezioni di pensiero per tutti gli anni, sino alla Maturità. Al quarto mi rimandò in Latino, perché si era accorto che lo traducevo all’impronta e che della grammatica nulla mi interessava, né avevo studiato. Imparai la lezione poi, su suo consiglio, l’anno dopo alla maturità presentai una tesina sulla Beat Generation che mi garantì la licenza liceale con un 36 tondo tondo, visto che nelle materie scientifiche feci pressoché scena muta. Walter Mauro era in commissione e mi congedò dicendomi che sapevo scrivere e sembravo possedere una buona predisposizione al giornalismo, ma avevo la testa troppo tra le nuvole.
A quel punto però ero diventato amico di Enzo Caffarelli, anch’egli con un anno meno di me nella sezione B dello Scientifico del San Leone e studentello di “Walterone”. Si parlava spesso di musica, durante la ricreazione. Sapevo che Enzo collaborava con Ciao 2001, compravo la rivista e seguivo la sua rubrica di recensioni “Underground & Pop”. Enzo un giorno mi disse che Saverio Rotondi, il direttore del Ciao, voleva inaugurare una rubrica sulle motociclette, mia smodata passione e dissi che l’avrei curata io, la qualcosa avvenne con il numero 44 del 4 Novembre 1970. Una cosetta di una colonna e mezza, le notizie arrivavano dal mensile “Motociclismo” (alcune fornite dal mitico Roberto Patrignani) e le foto le ritagliavo qua e là, uno spazio che credo incise ben poco sul substrato culturale del mondo giovanile a due ruote, ma andò avanti per diverso tempo.

Il mio esordio musicale fu un articolo dedicato al “dark sound”, proposto a Caffarelli e accettato da Rotondi, intitolato “Esplode la Musica Nera” (Ciao 2001 n.47 – 25 Novembre 1970). Vi descrivevo le ricerche e le ansie di un genere che mi interessava perché toccava i mondi dell’ignoto, in collegamento con la poesia ossianica e gli scritti di H.P. Lovecraft, William Blake, Mary Shelley e Bram Stoker, il che si trasferiva in un nuovo, dirompente suono che, a mio avviso, era incarnato soprattutto dai californiani Iron Butterfly, quelli dei micidiali 17 minuti psichedelici di “In A Gadda Da Vida”.
Data l’altra mia grande passione, il basket, scrissi un articolo su Lew Alcindor, allora pivot della squadra dell’UCLA e poi divenuto mega stella della NBA con il nome di Kareem Abdul Jabbar. Le informazioni e le foto in bianco e nero me le aveva fatte arrivare da Los Angeles mio fratello Bill B. Bates, che insegnava Lettere Straniere alla grande Università della Calfornia. Il pezzo, intitolato “Il Batman del Basket” apparve sul n. 49 del 9 Dicembre 1970, poi uscì sul n. 52 del 30 Dicembre un ritratto di Cassius Clay intitolato “Pugni, Pace e Polemiche”. Sul n. 50 1970 firmai per la prima volta la rubrica “L’Angolo del Pop”, nata già da tempo per rispondere alle numerose richieste dei Lettori in materia strettamente musicale. La rubrica era una autentica palestra dell’ardimento, ogni settimana alle prese con ragazzi preparatissimi che volevano esprimersi sulla “loro” rivista. Sentivo intanto l’urgenza di oltrepassare la linea editoriale soft del Ciao, uno strano mix – peraltro funzionale in termini di vendite – di costume giovanile, “leggero impegno politico”, divi plastificati e da “Canzonissima”, di gruppi pop angloamericani di alta classifica ed epigoni del beat nostrano. Insomma si poteva saltare dal Rock sinfonico dei Deep Purple a una Iva Zanicchi tutta boccoli in copertina. In redazione, al numero 2 di via Boezio, mi recavo due volte la settimana. Ci trovavo i redattori Fabrizio Cerqua, Luigi Cozzi, Daniele Del Giudice, Tonino Regini (alias Scaroni) e Giuseppe Resta e spesso anche i collaboratori esterni. Simpatizzai con il variopinto Dario Salvatori, super esperto di Jazz, con Renato Marengo, titolare della rubrica “Disco-Grafica”, in cui recensiva i suoni dei dischi attraverso la creatività delle copertine, punta di diamante e “motore” della nuova musica partenopea che lui chiamò Napule’s Power. A loro nel ’73 si aggiunsero le talentuose Fiorella Gentile, intervistatrice sensibilissima presto divenuta star radiotelevisiva con “Popoff” e “L’Altra Domenica” del clan Arbore, e Maria Laura Giulietti, redattrice scrupolosa, grande appassionata di Jazz, Blues, California alternativa e il Rock al femminile. In quegli anni i corrispondenti erano Michel Pergolani da Londra e Armando Gallo da Los Angeles e le loro cronache, interviste ed estesi reportage fotografavano puntualmente i movimenti sia musicali che sociali che si dipanavano nel mondo in quel periodo. Nel tamburino il roster dei collaboratori cambiava e si arricchiva continuamente di nuovi nomi. Chi scriveva… troppo doveva usare uno pseudonimo e io mi accordai con mio fratello Claudio per usare il suo nome, con l’aggiunta di Bates, dal ceppo familiare paterno italoamericano.

A proposito di padri, Rotondi era un papà burbero, ma buono, che mi ripeteva sempre, disinvoltamente passando dal lei al tu: “Baiata, sa cos’e? Tu quello che mi porti in 30 righe lo deve scrivere in 10”. Non lo ascoltavo eppure sorprendentemente i miei pezzi anche extra lunghi passavano, senza alcun taglio. Il borderò mi consentiva molto di più di una paghetta settimanale e, privilegio assoluto, stavo diventando un critico musicale a 20 anni senza conoscere il pentagramma, né aver mai suonato uno strumento. La Musica Cosmica tedesca era la mia stella cometa, scrivevo non so come, ascoltavo i dischi e martellavo la Lettera 32 sino a tarda notte,traducendo quello che sentivo in parole. Gli altri critici del Ciao 2001 che seguirono (anche Manuel Insolera e Marco Ferranti venivano dal San Leone ed erano amici di Caffarelli) avevano un loro stile, ma a mio avviso dimentichi (ignari non posso crederlo) della forza socio-rivoluzionaria che il Rock possedeva. Rivalità fra di noi ce ne erano, ma le lasciavamo sul piano personale in un settimanale ad altissima tiratura e vendite inusitate che nel 1972-73 giravano attorno alle 300 mila copie. In questo senso, ai gruppi emergenti di Rock italiano – fra loro talenti autentici e formidabili – il giornale a mio avviso non prestava l’attenzione che avrebbero più che meritato. I critici del Ciao cercavano di anticipare i tempi, di avere in mano l’ultimo album originale prima che la casa discografica italiana lo stampasse (quando lo faceva), di intervistare l’artista di passaggio in Italia o di andare in Inghilterra per un’anteprima. In tal senso, esisteva anche una rivalità con la trasmissione radiofonica della RAI “Per Voi Giovani” di Paolo Giaccio, con le voci di Teresa Piazza, Carlo Massarini, Massimo Villa, Claudio Rocchi, Mario Luzzatto Fegiz, Michelangelo Romano, Raffaele Cascone e così via… diciamo che noi scrivevamo e loro parlavano. I rapporti con i promoter e i label manager della EMI, RCA, CBS, RICORDI, PHONOGRAM, FONIT CETRA ed etichette varie, per lo più positivi, potevano diventare tesi solo quando certi accordi dietro le quinte – se esistevano – fra le major e la Direzione della rivista, divenivano “scomodi” o ingestibili. Personalmente, mai ho subito pressioni per compiacere una casa discografica. A metà del 1974 qualcosa si incrinò dentro di me, dovevo lasciare il Ciao, non volevo fare parte di un giornalismo “pop” e leggero, inserito nello show business, mentre gli incidenti ai concerti e le cariche della polizia avevano reso l’aria irrespirabile e, di questo sono convinto, la strategia era stata pianificata e generata non da una protesta proletaria o da istanze alternative, quanto invece da un sistema che aveva scelto di insinuare la violenza fra le fila del dissenso giovanile – soprattutto di sinistra – per minarne la consistenza culturale e disintegrarne la forza aggregativa della condivisione musicale. Forse anche per questo, decisi di provare l’ebrezza della casa discografica, accettando di entrare in RCA con un contratto di consulenza che mi consentì di conoscere dall’interno i meccanismi industriali di produzione, marketing e promozione del… Ministero della Musica Italiana. Ebbi la fortuna di incontrare grossi artisti stranieri e di accompagnare in tour Il Perigeo e Antonello Venditti, musicisti seri, che non si sono mai fermati anche nelle date più infuocate dei palazzetti e dei teatri a soqquadro. Contemporaneamente, l’ansia dello scrivere in libertà non mi aveva abbandonato e l’anno successivo, lasciata la RCA, sarei approdato nel Collettivo di Redazione del mensile Muzak, un’avventura alla quale ho dedicato un capitolo nel libro “Gli Alieni mi hanno salvato la vita”. Tempi che ricordo con rabbia e con gioia, sentimenti inevitabili quando si ha la ventura di viverli come collaboratore, redattore e direttore, prima nei terribili “anni di piombo” e poi a New York, nel periodo più caldo della Presidenza Reagan. Ma questa è un’altra pagina di vita che racconterò attraverso gli articoli, le interviste e le sincronicità del secondo volume di “ROCK MEMORIES”.
Leggerti è sempre un piacere. Mi fai rivivere la mia adolescenza. Io leggevo Ciao2001 che, era l’unica vera rivista di musica di tendenza ma anche non. Se ricordo bene poi nel tempo divenne piuttosto politicizzata e mi attirò meno. Ma comunque mi piace un sacco la vibrazione con la quale ne scrivi oggi, con la stessa passione di un tempo. Ma cos’è il tempo se non un meccanismo virtuale?
Ciao Pino, ma de che parli: Ciao 2001 politicizzata? Fino a quando ci sono stato io la politica vi appariva in termini di presa di coscienza della condizione giovanile, non come impegno ideologico. “Dopo di cui” i colleghi si scatenarono sul trend della leggerezza. Ben diversa la mia scelta di entrare nel Collettivo di Muzak, “lotta dura senza paura” e quante botte abbiamo preso, in tutti i sensi. Scherzo, eh, Pino!
Ordinato immediatamente.
Ciao Maurizio, a volte faccio un sogno: tu che incontri Enzo Caffarelli e Riccardo Bertoncelli e decidete di (ri)creare una rivista musicale.
Come si chiama la rivista? Ciao 2051 naturalmente.
A proposito si potrebbero coinvolgere anche Federico Guglielmi e Eddy Cilia nel progetto.
Bel sogno vero?
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Riccardo ci starebbe, forse. Caffarelli no. Altri chissene. Resterei io da solo. Noiiiiapossofaà…
Guglielmi e Cilia ettecredo, loro ci starebbero.