Washington Square Park, Manhattan, 1983, al centro del Greenwich Village, cuore culturale e artistico di New York. Siamo nella parte West – mentre a East, nella cosiddetta Lower East Side sconsigliano di mettere piede, feudo dei Portoricani, degli spacciatori neri, dei drogati e dei reietti, dei “bums”, gergale per homeless, i senza tetto. Figure rannicchiate per terra, appoggiate ai muri o negli anfratti dei palazzi che vanno dalla Avenue A alla Bowery, grandi strade parallele e altre piccole che si intrecciano e insieme costituiscono la cosiddetta Alphabet City, per via delle lettere che denominano le avenues: A, B, C, D… Non a caso, in quegli anni il Punk newyorchese stava trovando luogo, ragioni e forza espressiva proprio in quella zona malfamata. I locali di punta erano il CBGB e il Max’s Kansas City, ma altri venivano su come funghi invisibili e da lì la musica New Wave e Punk avrebbe squassato le fondamenta del Rock e fatto piazza pulita delle sue derive romantiche e “glitter”, quelle per personcine per bene che, strafatte di ecstasy, andavano a dimenarsi allo Studio 54, sulla Cinquantaquattresima.
Uptown o Downtown che fosse prodotto e ascoltato, il Rock puro teneva duro anche alle bordate del primo assalto frontale del Rap, dal Bronx e da Harlem, dove serpeggiava ovunque. Manhattan era una discoteca a cielo aperto e se Washington Square Park ne era pittoresca rappresentazione con venature artistiche di ogni genere, a un isolato e mezzo il Bottom Line era il locale giusto per ascoltare la grande musica Rock a New York. Una sera del 1983 in cartellone c’è Lou Reed. Il locale è abbastanza ampio, ai tavoli si beve e si fuma. Con gli inviti della casa discografica, sediamo a tre metri dall’artista che, nel suo perenne giubbotto di pelle nera, dopo il primo brano, “Sweet Jane”, cosa fa? Lancia uno sguardo di fuoco alla mia signora. Sulle prime, me la sono presa. Va bene, ho pensato, è un mito, ma come si permette? Poi però il concerto ha avuto inizio e sotto la raffica di pezzi famosi, da “Waiting for My Man”, a “I Love Women” (avrei dovuto immaginarlo!), da ”Walk on the Wild Side” a “Satellite of Love” non ho più colto in flagrante Mr. Reed. Se volevate uno show che va dal R&R più energico agli echi Beat di 20 anni prima, con le distorsioni acide dei Velvet Underground e le scorribande ipnotiche dei racconti di strada di ogni dove, dalle balere Country al garage Punk, signori, Lou Lou vi serve a dovere e gli bastano la voce e la sua Fender incarognita. Sorretto da una band di bravi ragazzi che sembrano matricole pulitine della confraternita Omega e non quegli sciroccati dei Delta, come ci si sarebbe aspettato, il concerto di Lou Reed al Bottom Line fila spedito come un taglierino sulla carta da imballo che avvolge un pacco pieno di 45 giri degli anni 60-70.
Lou Reed è nella sua città e ci suona alla grande, in forma smagliante, rinuncia anche alla sigaretta per tirare avanti senza esitazioni per 75 minuti filati, sino a una fulminante “White Light White Heat” di chiusura. In sala, se ti guardi in giro, ci sono anche volti noti dei media, dello spettacolo e dell’arte, come quello inconfondibile di Andy Warhol, che dei Velvet Underground era stato iniziale mentore e mecenate. Non mi riuscirà di intervistarlo, il signor Lou Reed. Ma, stranamente lo incontrerò abbastanza di frequente e di buon mattino sulla strada dove abiterò per un anno circa, a Perry Street, ancora al West Village, ma un po’ più in là verso il fiume Hudson. Ero solito andare a passeggio presto con Dado, il mio Grande Cane da Montagna dei Pirenei e Lou percorreva la via alberata in senso inverso. Non poteva non notare quel cane da quasi 80 chili, bianco e maestoso. Infatti, una mattina lo vedo arrivare e i nostro occhi si incrociano. Mi fa “Hey, that’s a nice dog!” e io gli rispondo “Grazie, Lou, sono un tuo fan italiano, grazie per la tua musica”. “Oh, grazie a te… have a nice day!” mi risponde e, da quel giorno, ci siamo salutati ancora altre volte. Poi ho cambiato casa, sono a vivere a Tompkins Square Park, al centro di una Alphabet City tutto sommato per nulla ostile e crogiuolo multietnico molto interessante da vivere. Ma quel “nice dog!” detto da un signor Lou Reed non lo avrei mai dimenticato.
Il concerto “A Night with Lou Reed”, fu videoregistrato e si può vedere qui: https://www.youtube.com/watch?v=MZr-jChkECM
Maurizio Baiata, 14 Febbraio 2016
concordo con “il Signore”… 🙂