Per abbracciarlo, seduto sul suo scooter elettrico con cui gironzola agevolmente, bombola a ossigeno con cannule nelle narici, devo piegarmi su di lui. Wendelle stende le braccia mentre il viso scarno e profondamente segnato si illumina in un debole sorriso. Ci sistemiamo al grande tavolo rettangolare della redazione della rivista “Open Minds”, che mi vede ancora direttore. Questo sarà il nostro ultimo incontro. È il 25 Agosto 2010.

Il colonnello Wendelle Stevens nell’ufficio di John Rao, Open Minds, a Tempe, AZ. (foto: Maurizio Baiata)
Wendelle passa a trovarci regolarmente ogni mercoledì, se le sue condizioni glielo consentono. Negli ultimi tempi, l’età e i malanni hanno avuto il sopravvento. Dal mio arrivo a Tempe nell’Aprile 2009, l’ho visto deperire rapidamente, ma nella conversazione resta acuto, coinvolgente, impossibile quasi interromperlo nelle sue digressioni, molte delle quali ho registrato e ho intenzione di pubblicare al più presto.
Torniamo indietro, a poco più di un anno prima, nella sua casa di Tucson a poco meno di 200 chilometri da Phoenix. Partenza di buon mattino con il mio capo John Rao e Jason McClellan del video team di Open Minds TV. Lasciamo Tempe, superiamo l’elegante Scottsdale e prendiamo la I-10 direzione Tucson, una bella città mecca del “buen retiro” di tanti cittadini dell’Arizona, dove l’ottantaseienne ex tenente colonnello dell’USAF risiede con la moglie trentenne Suzy. Passiamo un deposito di arei militari dismessi. Si estende per almeno due-tre chilometri, file interminabili di caccia e bombardieri, a centinaia fermi, muti, le ali abbassate. Hanno finito di portare morte. Potrebbero venderli per pochi dollari a noi Italiani…
Dobbiamo incontrare Stevens per fare il punto su una questione importante: la cessione del suo prezioso archivio a Open Minds, l’impresa editoriale e multimediale specializzata in ufologia, il cui boss ha il pallino del possedere tutto il possibile e i mezzi finanziari per accaparrarselo.
Le trattative sono appena iniziate e Rao deve verificare della portata e della qualità della collezione di libri, riviste, fotografie, video, documentazione cartacea e cimeli, perfettamente ordinata in due stanze della casa, il classico ranch a un piano di queste regioni del South West americano. Wendelle lì amava trascorrere le giornate in compagnia di un grosso gatto grigio scuro che fa per un attimo capolino e di una cagnetta Chihuahua piuttosto scorbutica.
Al nostro arrivo, Suzy ci fa trovare uno spuntino: frutta fresca, tartine, formaggi e caffè. Sono decenni che sento parlare di questo mitico archivio e finalmente si svela ai miei occhi. Scatto foto di qua e di là non sapendo cosa prediligere, mentre Wendelle illustra a John Rao come tutto è organizzato e minuziosamente catalogato.
La raccolta fotografica è divisa in due sezioni, la più voluminosa composta da una quarantina di grandi album di fotografie in bianco e nero e a colori, l’altra da una decina di contenitori di diapositive ordinate cronologicamente dal 1947 al 1999. Ogni caso è corredato da un rapporto tecnico, testimoniale e analitico.
I documentari in video provengono da tutto il mondo, Italia inclusa.
Una grossa parte dell’archivio però si trova altrove, in un deposito non lontano. Nella scalcinata auto del colonnello, impavido al volante con il berretto USAF, siedo al suo fianco, Rao e Jason sono sulla Lexus del boss. Arriviamo al mega magazzino.
Corridoi e tante porte chiuse. Ne apre una, ecco il resto dell’archivio. Vi sono raccolte centinaia di libri e decine di scatoloni di plastica con dentro lettere a non finire, vecchie di decenni. Ognuna in un fascicolo che ricostruisce un avvistamento o un incontro ravvicinato, con foto, grafici e documenti.
Wendelle ricorda tutto. Lo assiste una memoria prodigiosa. È in grado di ricostruire anche i minimi dettagli di ciascun episodio, i nomi, le date e i luoghi, le circostanze e le implicazioni. Wendelle ha sempre collaborato con chiunque volesse riportare e, volendolo, anche divulgare la propria esperienza, ha avuto contatti con ufologi e appassionati di tutto il mondo, che si sono rivolti a lui con fiducia e rispetto, fornendogli materiale e resoconti a centinaia.
I casi da lui investigati personalmente risalgono agli anni ’60, all’epoca del Blue Book, il progetto di ricerca dell’USAF in cui Stevens si trovò a lavorare come analista, estendendosi ad anni recenti. Si deve a lui la prima seria indagine sul caso Billy Meier, delle cui foto ha decine di copie di alta qualità, ma non gli originali, che gli sono stati trafugati. E ora tutto questo è destinato a divenire reperti da museo, ospitati in una zona riservata della sede di Open Minds, a Tempe. A beneficio del visitatore all’ingresso è stata posta una targa che recita “per gentile donazione del Colonnello Wendelle Stevens”.
Wendelle Stevens iniziò i suoi studi sugli UFO dopo il congedo dall’Air Force nell’Ottobre 1963 con il grado di tenente colonnello. Nativo del Minnesota, classe 1923, diplomato alla Lockheed nel 1941, Stevens si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti nel 1942 come specialista in manutenzione aerea, prestando servizio nel Pacifico.
Alla fine della guerra fu assegnato alla Flight Test Division del Material Air Command, alla base aerea di Wright Field, Dayton, Ohio (che diverrà Wright-Patterson). Negli anni successivi fu operativo nella divisione tecnica dell’Air Intelligence Center (ATIC), in parallelo alla cui attività avrebbero visto la luce i progetti militari ufficiali sugli UFO, “Sign”, “Grudge” e “Bluebook”, marcati USAF.
Nella calda estate ufologica del 1947 Wendelle venne dislocato in Alaska, dove diresse una squadra speciale di ricognizione aerea, di foto rilevamento e mappatura di una vasta area artica. Il progetto era altamente classificato e i velivoli disponevano di apparecchiature cinematografiche all’avanguardia. In diverse occasioni i piloti avevano segnalato avvistamenti di oggetti volanti non identificati. Le riprese con le “gun camera” (cine mitragliatrici di bordo) non lasciavano dubbi sulle straordinarie capacità di manovra dei misteriosi visitatori, impossibili da intercettare.
Di tutti i filmati UFO che gli passarono per le mani e che erano stati spediti a Washington, l’ufficio di Stevens non avrebbe avuto più notizia. Decise che sarebbe stato meglio andare avanti da solo. D’altronde, si era fatto le ossa all’interno del Blue Book, struttura che, a suo dire, avrebbe funzionato da specchietto per le allodole, un innocuo, anche se indaffarato ufficio di pubbliche relazioni messo su per tranquillizzare con spiegazioni convenzionali un’opinione pubblica destinata a restare all’oscuro dei casi realmente importanti. I rapporti interessanti passavano ad altre strutture di intelligence che li avrebbero trattati nella segretezza totale: il cover-up era già in atto.
Caparbiamente e sempre da lupo solitario, Stevens proseguiva le sue indagini, iniziando ad esporsi pubblicamente negli anni Ottanta, primo fra gli “insider militari” che, smessa la divisa, denunciavano lo stato di segretezza sulla questione UFO. Ne sapeva molto per esserci stato, in quel sistema di intelligence che gestisce e occulta tutto. E averne parlato e denunciato apertamente non gli avrebbe reso la vita facile. Accusato e processato per lo stupro di una minorenne, Stevens fu condannato e scontò due anni di prigione, grazie al patteggiamento. In privato, Stevens ha sempre negato di essersi macchiato di tale crimine. Disse che le accuse erano state montate ad arte, per metterlo a tacere. In sede di giudizio era stato costretto ad ammettere la colpa per evitare molti anni di carcere e la sicura perdita sia dei gradi sia della pensione.

Il colonnello Wendelle Stevens e il Sergente Maggiore Robert Dean dell’Esercito USA. (Foto: Maurizio Baiata)
Wendelle ha scelto di vivere una vita tranquilla. Di riprendere e continuare il proprio lavoro di ricercatore indipendente e mai entrato in un’organizzazione come il MUFON e il CUFOS, con i loro regnanti, gli alfieri e i portaborse. Soprattutto per questa ragione, ritengo, non era molto ben visto nell’ambiente. Posso testimoniare come ogni sua partecipazione a un congresso, ogni sua apparizione in pubblico, negli ultimi anni siano state accolte dalla gente con il dovuto rispetto e con l’ammirazione che il vecchio leone meritava. In Italia, lo ricordiamo a Montesilvano nel 1997, nel memorabile congresso “Il Contatto”, accanto a Philip Corso (li vediamo a colazione, nella foto sotto), Robert Dean e Desmond Leslie.

Il colonnello Philip J. Corso e il colonnello Wendelle Stevens a colazione, in occasione del congresso “Il Contatto” tenutosi a Montesilvano nel 1997. (Foto Paola Harris)
Era il decano, era un punto di riferimento. Un ex militare di alto grado, non così affabile come Bob Dean, al quale è stato legato da un’amicizia profonda, ma altrettanto convincente nelle sue argomentazioni, anche quelle tanto ardite da rasentare l’assurdo.
La morte lo ha colto a Tucson il 7 Settembre 2010. Aveva 87 anni e il suo sistema respiratorio ormai non ce la faceva più. Gli sciacalli, anche in Italia, non hanno tardato a ricordare che era stato condannato per pedofilia e che, di conseguenza, il suo nome doveva essere cancellato dagli annali dell’ufologia mondiale. Ma questo non accadrà. Si sa infatti che il sistema di segretezza prevede pesantissime ripercussioni per chi ne infranga i vincoli. Nel debunking, il gioco veramente sporco si fa ferendo a morte la tua reputazione. Nessuno passa indenne un’accusa di pedofilia, soprattutto negli Stati Uniti. Trovai il coraggio di chiedergli qualcosa a proposito di quella parentesi tanto orribile della sua esistenza solo una volta. Mi rispose che aveva superato tutto.
Per l’ultimo saluto a Wendelle Stevens, venerdì 17 Settembre 2010 al The Village Inn di Tucson, era schierato un picchetto d’onore dell’Aeronautica degli Stati Uniti. Qualcuno aveva deciso che era giusto rendergli omaggio. Avrei voluto esserci e sarei stato fra i pochi. Solo una trentina di persone, esclusi i militari e incluso un gruppo di Hell’s Angels con la bandiera a stelle e strisce. Che strana, la vita di un uomo il cui il rito funebre è accompagnato dalle note delle cornamuse e dal rombo delle Harley’s. O forse no. Tutto giusto, anche il finale, per Wendelle. In nome delle sue origini scozzesi.
Maurizio Baiata, 15 Gennaio 2016
Grande uomo, grandi ricordi
concordo con quanto hai scritto…la disamina generale è giusta… =_=