L’editoria musicale e controculturale degli anni Settanta fu segnata, oltre che da “Re Nudo”, soprattutto da “Muzak”, mensile il cui collettivo redazionale – guidato da Giaime Pintor e nelle cui file militarono anche Lidia Ravera, Giovanni Lombardo Radice e Fernanda Pivano – finì alla sbarra in un processo farsa per “corruzione di minorenni” terminato con un’assoluzione corale per non aver commesso il reato. Finì bene, ma per inopinata decisione dell’editore il giornale chiuse di lì a breve, nonostante vendesse circa trenta mila copie al mese.
Il nome Muzak, “musicaccia”, in realtà incarnava il senso dell’appartenenza a un ambiente, non un legame specifico al termine Musica. Il messaggio di allora era: Muzak è la musica della nuova generazione che stabilisce un selettore sociale, identifica ideologicamente il suo fruitore/ascoltatore, ne qualifica la personalità e lo distingue dalla massa e dalle sue regole sia del vivere civile, sia religiose, sia politiche e culturali. Ascoltare musica divenne quindi un fattore di scelta dell’ambiente in cui esistere e da amare e proteggere. Per la controparte costituita da produttori, case discografiche e impresari si trattava solo di business e profitto. Gli artisti? Erano l’ago della bilancia. Per quasi tutti i Settanta la situazione restò in equilibrio, poi prese a pendere verso produzione e consumo, restando invariata sino ad anni recenti.
Nel tempo, molti gruppi rock hanno rinunciato al ruolo di catalizzatore delle istanze giovanili. Oggi, fatte salve le molte eccezioni indie, le band che cercano di affermarsi procedono per inerzia, guardano furbescamente al passato ripescandone delle cose, ma poco esprimono del presente e del futuro sembrano disinteressarsi. La loro non è Muzak, manca di substrato, di significati, di creatività e di prospettive, risponde al desiderio di uno stato di necessità effimero e momentaneo e non esprime lo spirito dell’illusione. Le composizioni e i testi delle canzoni, di qualunque genere, funzionano in ragione delle cliccate e dei like sui social network.
Del rock resta solo “lo stile”
In tal senso, la critica rock via internet, nel recensire i nuovi prodotti si limita a fungere da volano pubblicitario in parallelo alle rotazioni blindate delle radio Fm, contribuendo a impinguare le casse di quelli che una volta venivano definiti i “padroni della musica”. Le recensioni dei live, che potrebbero brillare di luce propria, si perdono nel piattume generale: il fatto che i costi dei biglietti dei concerti siano da salasso poco importa, è tutto bello, tutto fantastico e i dirigenti delle social radio possono vivere tranquilli. Nella programmazione, anche le emittenti che si tacciano di essere rock, non includono mai brani di avanguardia o sperimentali, evitano le interminabili cavalcate acide dei Grateful Dead, le oniriche canzoni alle sirene di Tim Buckley, i mantra elettrici dei Popol Vuh, le maestose rocce esoteriche dei Dead Can Dance, persino i Sigur Ros della incantata Islanda non hanno luogo in questa radiofonia. Nulla di quello che una volta era destinato ad arricchire le “menti scoperchiate”, visto che oggi quello che passa serve a intrattenere quelle ottuse, che tali resteranno.
Del rock, deprivato delle sue componenti energetiche primarie, resta solo lo “stile”.
D’altra parte, con l’avvento dei contest televisivi il piattume si è ancor più evidenziato, fatti salvi pochi giudici preparati, con radici ad esempio di Blues o di Classica e ripresi per i capelli. Conoscere il pentagramma e i movimenti socio-politici che hanno fatto da background a correnti compositive e/o espressive del passato consente di collocare un lavoro discografico nel giusto contesto. Di questo, il critico digitale non si cura, aggrappandosi alla sola attualità dell’ultima uscita e disconnettendosi dalla realtà del presente come frutto del passato. Per lui, basta dire che quel blip appena apparso sullo schermo radar della produzione musicale odierna è identificato, perché venga accettato in quanto omologato e il fruitore passerà in automatico all’acquisto a pochi centesimi computerizzati. Fine del mistero insito nella Musica, fine dell’illusione e della magia, della scoperta e fine del dialogo fra chi la crea e chi la vive come parte integrante del proprio io.
Quel giradischi in stand by
Diverso è il mondo della musica su vinile, che è come la Muzak, un ambiente che racchiude il suono, il testo e la combinazione fra le parole e l’armonia indotti nell’interiore. Il momento di dire addio agli acquisti senza passione e senza mente è arrivato, perché il valore della musica non può dipendere da un clic e durare solo un ascolto di pochi secondi o al più un paio di minuti.
Una scelta diversa è possibile. Puoi chiudere gli occhi, tirare un respiro profondo e aprirli trovandoti nel bel mezzo di un negozio pieno di dischi in vinile, storici e da collezione, usati e nuovi, appena usciti dalla pressa, per la prima volta o ristampati. Sei in un mondo a cui i tuoi genitori avevano rinunciato mettendo in stand by l’amplificatore e il piatto, sbarazzandosi dei vinili a favore di supporti agili e avanzati, mentre aumenta il numero delle persone che entrano in un negozio in cerca del 33 giri del cuore, pur non avendo ancora il giradischi, nuovo o ricondizionato per suonarlo.

Welcome To The Jungle Record Store, negozio di vinili e non solo, che ha da poco aperto i battenti a Roma. (photo: Martina Libutti)
Con il vinile i giovani “sentono” quello che gli appartiene, affermano la propria identità e vivono nell’ambiente in cui si riconoscono. Il vinile li aiuta ad esprimersi in modo nuovo, con i coetanei certamente, ma soprattutto nel rapporto con i propri genitori e nel relazionarsi con gli adulti. Avranno vita più facile i ragazzi i cui genitori un tempo avevano la casa invasa di album, singoli, cassette e aggeggi per farli suonare?
Si torna a suonare
In realtà stiamo assistendo a una rinascita culturale. Dal 1967, per decenni negli Stati Uniti il quindicinale Rolling Stone ha rappresentato la punta di diamante della diffusione di una cultura rock funzionale all’uscita dai condizionamenti del sistema, all’espressione della identità giovanile e dell’alternativa al pensiero politico dominante. Ogni sua inchiesta, ogni sua copertina, riusciva a cogliere il bersaglio senza sfociare in estremismi radicali, in nome di un’informazione chiara e netta che si confrontava apertamente e dissentiva con il pensiero ufficiale. Ogni recensione fotografava tutto quello che di un album si doveva sapere, documentandone la storia e vivendola quasi anziché la penna, il critico imbracciasse una videocamera. In questo, R.S. contribuì alla crescita di una coscienza sociale giovanile dall’interno, non facendo esplodere bombe durante un concerto, o boicottando le vendite dei negozi di dischi.A distruggere (simbolicamente) ci avrebbe pensato il Punk dieci anni dopo, ma di lì a breve il rock avrebbe perso forza nel momento in cui a Tower Records arrivarono le prime scatole di Cd dalle case discografiche e la plastica ebbe il sopravvento.
Oggi, il vinile ritorna. I ragazzi riprendono ovunque a suonare e provare nei garage e nelle cantine. Aprono i battenti i negozi di vinili e a gongolare sono anche i venditori di strumenti musicali che possono contare sui vecchi amici di un tempo: un impianto stereo e una busta piena di dischi. Che siano vecchi o nuovi non ha importanza, ne usciranno colori e suoni e la gioia di un ascolto e di un attimo che possono durare per sempre.
Per provarlo basta entrare in un negozio di vinili. Uscirne con una copia di “Blackstar” di David Bowie. Toglierla dalla pellicola di plastica che la avvolge e alzarla verso una fonte di luce, anche verso il cielo puntando al sole e vedere cosa succede.
Maurizio Baiata, 28 Luglio 2018
Nota: Per saperne di più, sulle meraviglie del mondo discografico in vinile, potete contattare Welcome To The Jungle Record Store, aperto da poco a Roma. Qui i riferimenti Facebook: https://www.facebook.com/WTTJRecordStore/
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