Nel Febbraio 2012 nei pressi di Phoenix, in Arizona, si teneva la terza edizione dell’International UFO Congress per la gestione della Open Minds Production, impresa multimediale ufologica filiazione di Secure Medical, colosso del direct marketing farmaceutico statunitense. Sotto i riflettori del Fort McDowell, elegante resort e casinò scenograficamente ambientato in uno scenario da Far West, per quattro giorni la manifestazione raccoglieva nomi altisonanti della comunità ufologica internazionale, fra studiosi e teorici multidisciplinari, diretti interessati e appassionati della materia.
Fra le file di una guarnigione di circa novecento persone si aggirava il fotografo Steven Hirsch, veterano del tabloid “New York Post”, intenzionato ad individuare gli “experiencers” per creare una galleria di volti di persone che con gli alieni dicono di aver avuto incontri faccia a faccia. Intenzione un tantino… lombrosiana, come si evince dagli scatti impressionistici realizzati da Hirsch in un set ricavato in una saletta dell’albergo, dopo aver facilmente individuato i soggetti giusti, come pesci dalla livrea nera in un acquario di pesci rossi.
Il programma stesso della manifestazione, per molti anni organizzata dalla famiglia di Bob Brown a Laughlin, Nevada, una lingua di cemento che segue un fiume artificiale su cui si affacciano i grattacieli di una decina di alberghi, ha spesso previsto seminari e sessioni a porte chiuse guidate da psicoterapeuti come Barbara Lamb ed esperti in ipnosi come Yvonne Smith e Mary Rodwell e riservate solo agli addotti e ai contattati, per incontri di condivisione delle loro esperienze. Tutto all’insegna del rigore, per affrontare seriamente una materia assai delicata.
In effetti, la maggioranza dei protagonisti di esperienze di contatto, o di “rapimenti alieni” che la serie televisiva “Taken” prodotta da Steven Spielberg ha popolarizzato, vive una condizione di isolamento, lontano dagli occhi delle masse, in una sorta di automatica astrazione, in quanto respinti ed emarginati dalla società. Alcuni di loro, invece, si esaltano nel credere di essere dei prescelti e avviano la loro personale crociata uscendo allo scoperto, per proclamare pubblicamente la veridicità delle loro esperienze. In entrambi i casi, volenti o nolenti, gli “experiencers”, o “contattati”, o “addotti” che dir si voglia se la devono vedere con se stessi, con i loro cari, con il loro ambiente sociale – in cui la maggioranza non si riconosce – e di lavoro, esponendosi al ridicolo e al rischio di passare come malati di mente.
Avrà pensato Steven Hirsch, ne renderò viva la testimonianza attraverso i loro occhi. E li ha quindi invitati a raccontarsi e a farsi immortalare. Diversi hanno accettato e di buon grado. Così quei volti hanno fatto il giro del mondo grazie all’articolo “Cat People, Strippers and Telekinesis: Tales From Alien Abductees” pubblicato dal blog americano “Wired” http://www.wired.com/2012/04/alien-abductee-portraits-probe-the-outer-reaches/ e rimbalzato persino sul sito online de La Repubblica.
Alcuni mi sono molto familiari. Avendo avuto modo di incontrarli ripetutamente negli ultimi anni da me trascorsi negli USA, di loro posso accennare. Come Lisa Romanek, moglie di Stan, uno dei più famosi experiencers americani. La coppia vive a Denver, in Colorado con i loro tre bambini. Da sempre Lisa condivide le straordinarie esperienze del marito e lo supporta totalmente. Credo che, sollecitata da Hirsch, Lisa stavolta abbia scelto di parlare non solo come testimone, bensì come coinvolta nei fenomeni di cui da anni Stan è protagonista. Per saperne di più, vale l’intervista rilasciatami nel 2009: http://mauriziobaiata.net/2011/11/17/laddotto-cosciente-lintervista-a-stan-romanek/
Pesantissime poi sono state nell’Aprile 2013 le conseguenze del loro esporsi: contro Stan, strenuo assertore dell’esistenza ET e del cover-up UFO globale, sono arrivate accuse infamanti: possesso di materiale pedo pornografico, detenzione illegale di armi, attività illecite.

Un articolo di giornale che titola “Alieno ripreso in video” e Lisa Romanek (foto: Maurizio Baiata).
Il 12 Febbraio 2014, la Polizia di Loveland spiccava un mandato di arresto contro di lui. Il giorno dopo, Stan si costituiva, ma senza patteggiare, fermamente convinto della propria innocenza e di non dover ammettere reati dai quali si diceva totalmente estraneo.
Stan Romanek continua a portare avanti la sua battaglia legale. Non solo la sua reputazione in seno alla comunità ufologica americana ne è uscita compromessa, ma soprattutto nel privato, nel contesto familiare e sul piano psicologico Stan ne ha sofferto enormemente.
Diverso il caso di Cynthia Crawford, scultrice affermata che agli alieni ha dedicato la vita per vocazione. La incontrai nella sua bella casa nei dintorni di Phoenix, piena di sculture di volti alieni: la Mantide, diversi tipi di esseri Grigi, gli Insettoidi, i Nordici identici agli umani ma più belli, i Rettiloidi e gli Esseri di Luce.
Un campionario vastissimo. Cynthia con loro ha avuto incontri sin da bambina e più che addotta, si considera una “contattata”. La sua missione è: attraverso il mezzo artistico propagare un messaggio che riguarda la nascita e l’evoluzione di una nuova razza umana figlia delle stelle qui sulla Terra.
Il più famoso resta Travis Walton. Oggi sessantatreenne, la sera del 5 novembre 1975 il boscaiolo Travis fu protagonista di un’avventura incredibile, iniziata con un terrificante incontro ravvicinato con un UFO, nel cui scafo avrebbe poi trascorso cinque giorni, per riapparire nei pressi della sua abitazione a Snowflake, Arizona, scioccato e terrorizzato. Di riferimento, vale l’articolo che ricostruisce l’intera vicenda Walton che, a mio avviso, rappresenta il caso di “abduction” perfetto. http://mauriziobaiata.net/2013/07/21/parlano-altri-testimoni-del-caso-travis-walton-cosa-accadde-veramente-quella-notte-di-bagliori-nel-buio/
Della drammatica storia, trasposta anche in chiave cinematografica nel film “Bagliori nel buio”, Walton ha sempre mantenuto la medesima versione e lo stesso hanno fatto i suoi compagni di lavoro di allora, due dei quali si sono presentati sul palco del Fort McDowell e con Walton hanno raccontato e confermato cosa videro quella notte.
Nel 2012, a distanza di 37 anni dall’incidente sulle montagne dell’Arizona, John Goulette e Steve Pierce si sono fatti avanti per la prima volta in pubblico e accanto a Walton hanno raccontato e confermato cosa videro quella notte. La grande, accecante, macchina aliena sotto la quale Travis si era spinto, come mosso da una forza misteriosa. Il raggio che investe l’amico. Il terrore di quegli interminabili momenti. E poi il “lie detector”, passato senza alcun riscontro di falso e le loro versioni sempre uguali, metodiche, coincidenti che avrebbero fugato l’assurdità dell’accusa di averlo ucciso e di averne occultato il cadavere. È ovvio, un silenzio tanto lungo, per chi non voglia finire come capro espiatorio di una vicenda impossibile da dimenticare. Altrettanto difficile esporsi, ma lo hanno fatto. Dalle loro parole si evince che, probabilmente, vissero qualcosa che ancora faticano a ricostruire. Tasselli emersi sotto ipnosi e mai affiorati prima, che disegnerebbero uno scenario in cui i due furono partecipi molto più diretti dell’incontro ravvicinato, trasformatosi anche per loro in “prelevamento”.
Nel contempo, Walton ha elaborato tutto sotto una nuova luce rispetto a quanto aveva sempre interpretato come intrusivo e negativo. Durante un’intervista rilasciatami nel 2011, Travis ha detto: “Sulle prime e anche in seguito, non ho potuto fare altro che accettare il termine e l’accezione negativa di rapimento, ma in realtà non ho mai capito sino in fondo cosa veramente mi fosse successo. Certo, si era trattato di un incontro ravvicinato in condizioni estreme e le cui conseguenze avrebbero potuto essere fatali per me. L’unica possibilità per la mia sopravvivenza, forse, era rappresentata dagli occupanti stessi dell’astronave, perché i miei compagni mi avevano abbandonato e il medico più vicino era a un’ora di distanza. Col senno di poi, penso che probabilmente fu solo un tentativo di aiuto”.
In conclusione, è possibile che il modus operandi di quelle entità aliene sia stato determinante a salvargli la vita. È possibile, ma il puzzle non è completo (il missing time assomma a diversi giorni) e il suo cammino verso la verità potrebbe essere ancora lungo. Per certo, la sua esperienza di contatto gli ha lasciato segni indelebili sul volto. Lo dicono soprattutto i suoi occhi, messi in evidenza da un fotografo del New York Post, tanto simili a quelli degli altri addotti.
Ne parliamo domenica 5 Luglio, in un incontro a Roma, di cui potete leggere qui: http://mauriziobaiata.net/2015/06/25/negli-occhi-dei-contattati-incontro-con-m-baiata-per-parlare-di-esperienze-aliene/
Maurizio Baiata, 23 Giugno 2015
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