Come una gru, ora su una gamba ora sull’altra in cerca di un centro gravitazionale permanente sul terreno fangoso del maestoso quadrilatero del Castello Scaligero di Villafranca di Verona, il 2 Settembre 2012 ho visto per la seconda volta nella mia vita i Sigur Ros.
A tale incomodo dovuto alle precipitazioni dei giorni precedenti e stoicamente sopportato da dodicimila anime per un’ora e 45 minuti, hanno posto rimedio gli alieni di origine islandese Sigur Ros, con l’unica tappa italiana del viaggio che stanno compiendo nel nostro mondo. Una sola data dopo quattro anni. Li avevo visti a Roma, insieme a tremila persone ordinatamente sedute nella cavea a posti numerati dell’Auditorium, nella notte del 12 Luglio 2008. Quella volta, alzando gli occhi, il cielo grigio della capitale sopra i Sigur Ros fu squarciato da lampi di musica sublime. E ora, per un numero quattro volte maggiore di persone, molte delle quali ultra quarantenni e tanti lori figli, la plumbea notte di Villafranca è stata illuminata a giorno dalla squassante energia tesliana della band islandese.
La performance dei Sigur Ros ha suggellato il Perfect Day Festival – tre giorni di musiche moderne racchiuse fra le torri e le mura merlate del castello medioevale di Villafranca – con un act da fantascienza.
Preceduti dall’americano Mark Lanegan per il quale si staglia un futuro fulgido da poeta maledetto ma non suicida che sa coniugarsi con potenti ritmiche dark, i Sigur Ros non si capisce con quale “schema” o scaletta siano ascesi sul palco. Da che Rock sia nato, per un gruppo impegnato in un tour mondiale o di vaste proporzioni, è essenziale seguire una “setlist”, ovvero lo schema migliore per eseguire il proprio repertorio live secondo logica. Prefissare la sequenza dei brani riequilibra il grande dispendio di energie che un tour richiede suonando ogni due sere in una città di una nazione diversa e anche di continenti lontani.
Un gruppo Rock è una macchina ritmica. Un corpo elettrico, con un cervello, un cuore, un’anima. La macchina produce onde sonore, mixate e trasmesse attraverso terminali nervosi al sistema di amplificazione. Ora, con i Sigur Ros tutto questo viene portato avanti alla perfezione, millimetricamente, sino al finale, più di ogni altra band che io abbia mai visto e ascoltato in concerto. Gli islandesi prendono tutti i film della loro carriera iniziata nel 1999, li rimescolano, rovesciano, sintetizzano e ricompattano sino a crearne un continuum di potenza devastante. Quasi tutti si attendevano l’esecuzione di molti pezzi del nuovo “Valtari”, invece sono stati il secondo album, “Agaetis Byrjum” e il terzo “Svigaplatan” (titolo a significare il nulla fra due parentesi) a costituire l’ossatura del concerto.
L’organico era orfano di un elemento fondamentale quale il tastierista e polistrumentista Kjartan Sveinsson, non più disposto (sembra) a suonare live con il gruppo, ma era rafforzato da una sezione d’archi e una di fiati la cui presenza ha punteggiato tutto il concerto. Questo, in parte, ha colmato il vuoto lasciato da Sveinsson e ha orientato diversamente la scaletta rispetto al live di riferimento “Inni”. La sequenza che ho potuto individuare, non necessariamente eseguita nell’ordine qui esposto, ha visto: “Ekki Mukk”, “Ny batteri”, “Svefn-g-englar”, “Saeglopur”,“Hoppipolla”, “Luppulagid”, “Glosoli”, “Festival” (con l’interminabile nota in assolo vocale di Jonsi), “Hafsol”, “E-Bow” e almeno altri tre pezzi per me rimasti non identificati.
I due brani che hanno costituito l’encore, uno ripreso da “Valtari” e l’altro, “Popplagið” hanno rappresentato tutto il micro e macrocosmo del loro percorso musicale. Mondi rarefatti e sospesi in altri spazio/tempo che incedono in un impressionante crescendo sino al gran finale.
E con i 15 minuti dell’ultimo pezzo, “Popplagið”, a metà fra l’eplosione di una sepernova e la corsa a perdifiato sui tamburi echeggianti nelle foreste degli ultimi Mohicani, i Sigur Ros sigillano ermeticamente ogni ingresso ad altri orizzonti del Rock. Con loro termina l’esplorazione di questa Musica. Niente altro da cercare. Come se da un palco, come quello di Villafranca, si possa celebrare l’apoteosi di un ensemble di rumore puro composto da Hendrix, The Who, Ten Years After, Pink Floyd, King Crimson, Popol Vuh e la voce di Jonsi… ogni punto come matrice di luce, connesso agli altri per sempre. Nel Suono, nella Luce e nel Silenzio dell’Infinito.
Maurizio Baiata, 5 Settembre 2012
grande recensione, Maurizio! sei sempre il number one!
Grande concerto. Le note stonate ci sono state, pero’ e riguardano l’organizzazione di un festival che non ha tenuto conto del fattore pioggia che ha prodotto, misto agli effetti della presenza delle latrine nel perimetro del Castello Scaligero, un tanfo insopportabile. Certamente anche ai Sigur Ros non avra’ fatto piacere. Questo non l’ho detto nella recensione, ma ora, ripensandoci, andava detto. Maurizio
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Ottimo articolo. Non conosco bene questa band, anche se in precedenza ho ascoltato qualcosa. Una buona occasione per ripercorrere i brani citati e altro. Gino Pitaro