Incomparabile il Galileo di Marco Paolini, dalle vesti stracciate del tempo a lungo trascorso, con un grembiule di gomma da cerusico sospeso alle catene ondeggianti su un palco inserito in uno scenario glaciale. Intorno, solo macchine gigantesche, immobili ma attive e immaginate ronzanti nelle viscere del Gran Sasso, la Montagna Sacra a rovescio. Entrare nel pianeta proibito della ricerca nucleare che si fa in Italia e che ospita una generazione di scienziati le cui menti migliori vi si arrovellano nel costante anelito della conoscenza, della soluzione al problema insolubile, del navigare sulle acque del pensiero e dell’azione per sondare e come demiurghi se possibile modificare le leggi della Fisica.
Questo ha fatto Marco Paolini con “ITIS Galileo”, questo ha voluto ed è stato consentito realizzare a La7, che si conferma il network televisivo da seguire, con attenzione, per una programmazione che ogni giorno diviene più coraggiosa.
La diretta televisiva del 25 aprile 2012, trasmessa da La7 in prime time e durata oltre tre ore, è stata “una serata speciale dedicata alla scienza”, ambientata e realizzata nel tempio della scienza, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (INFN), in località Assergi (L’Aquila). Sotterranei dove, se non erro, sino a oggi erano state ammesse pochissime telecamere e nei quali Paolini ha allestito il suo stage, davanti a un pubblico formato da un centinaio di tecnici e fisici con il caschetto giallo. Sotto il quale ribollivano cervelli audaci, al di là del milione e mezzo di spettatori che hanno vissuto da casa.
Al one man show ha fatto seguito l’approfondimento condotto da Natascha Lusenti dalla sala Fermi dei Laboratori esterni dell’Istituto, intitolato L’importanza della carta stagnola. L’insieme meriterebbe di essere trasmesso almeno una volta al mese da La7 (altre emittenti disponibili non ne vedo), in prima serata, con l’avvertenza che immagino così: “Lo spettacolo teatrale che ora presentiamo è destinato ai vostri figli, affinché vivano in un mondo migliore”. Questo, l’incipit suggerito da Paolini e, forse, da Galileo Galilei in persona, se potesse parlare con noi in questo momento.
Durante la seconda parte, arricchita da collegamenti esterni guidati da un Paolini mai domo, in un’aula degna di un’università piena di ricercatori (selezionati solo fra gli Italiani, circa la metà dei 950 provenienti da tutto il mondo) dei Laboratori del Gran Sasso, è emerso il loro fine: la ricerca pura, il proiettarsi in avanti per la conoscenza, manovrando quelle macchine per produrre speranze futuribili per il genere umano. L’assioma della Scienza unita alla Coscienza.
Paolini narra di Galileo Galilei e ricorda, come un metronomo che scandisce la musica di secoli lontani, altre menti straordinarie, da Giordano Bruno a Keplero, sino a William Shakespeare, al quale dedica più passaggi quasi a dire che mentre Galileo immaginava e incarnava la Nuova Scienza, Shakespeare immaginava e incarnava la nuova arte della Parola e del comunicare. Il più grande poeta, drammaturgo, commediografo e scrittore della cultura Inglese, segnava il passaggio dal mondo antico al mondo nuovo, leggendo l’esistenza umana attraverso il dolore, l’amore, la magia, la perdizione, l’ascesi, ogni sentimento.
Ci vuole immaginazione e lealtà con se stessi per essere ricordati nel tempo.
Nel Ventiquattresimo Secolo de “Il Pianeta Proibito” girato da Fred McLeod Wilcox nel 1956, una missione spaziale umana scopre il pianeta Altair, che in epoca remota ospitava la razza Krell, scomparsa senza ragione. Vediamo nel film le loro macchine nucleari produrre e imbrigliare energia infinita, sprofondate a migliaia di metri nel sottosuolo di un corpo celeste disabitato.
Forse simili all’uomo, i Krell vivevano in superficie, ma nei sotterranei custodivano gli strumenti che la loro ricerca aveva generato, per bere della fonte perenne dalla quale sgorga l’energia della Vita. Forza che abissi di roccia e metallo imprigionano e che può scatenarsi dalla “Grande Macchina”, creata per proiettare la materia con il pensiero, materializzare l’inconscio e liberare i “mostri dell’Id” che annientano ogni cosa. Azione e distruzione dell’inconscio collettivo del quale il macchinario alieno rende possibile l’esistenza e la sopravvivenza, isolate e inviolabili, esattamente come sotto il Gran Sasso, dove Paolini colloca il suo “ITIS Galileo”. Ne abbiamo visto, di questo sancta sanctorum della Ricerca Italiana e non solo, una piccola parte, quella aperta agli occhi delle telecamere, ma già molto per spingere la nostra immaginazione verso orizzonti lontani.
Impensabile, organizzare uno spettacolo di teatro, con un sol uomo in scena a raccontare in tre ore l’intera epopea del grande scienziato italiano (1564-1642). Eppur si è mosso, il Paolini, in un tempo ancora buio per l’intelletto umano, con la leggerezza di una farfalla che punge come un’ape. Solo Paolini poteva esserne capace. Di questo straordinario attore, che alla scuola e al genio di Dario Fo deve molto, confesso di aver visto solo due suoi lavori precedenti, “Il racconto del Vajont 1956/ 9 ottobre 1963” del 1993 e “I-TIGI Canto per Ustica” del 2000 e nel riallestimento con il titolo “I-TIGI Racconto per Ustica” l’anno successivo. Paolini ama la magia del suo lavoro espressivo, non l’affabulazione. Si percepisce e coglie in ogni suo gesto fisico, che deve aver reiterato migliaia di volte, come il mosaico della parola a cascata, in Italiano e nel dialetto Veneto arcaico, alchimizzandoli prima di renderli sul palco, annullandosi come persona per giungere a questo risultato strabiliante.
Sul sito della casa produttrice dello spettacolo, la Iole Film, il lavoro viene presentato come “approfondimento curioso che Marco Paolini e Francesco Niccolini hanno dedicato al padre della fisica moderna che appare oggi come un grande divulgatore dei propri studi, ma soprattutto come una mente che rimane aperta al dubbio… la lezione di Galileo non è solo scientifica, ma soprattutto critica. Perché essere geniali, in circostanze difficili, può essere un problema. Questo lavoro indaga sulla frizione tra ragione e superstizione e sulla concreta, umana difficoltà nel mettere in discussione principi che apparivano incrollabili”.
Così, del Galileo del quale abbiamo dubitato quando fu costretto all’abiura dalla Santa Inquisizione, del Galileo che in vecchiaia ormai cieco continuava a vedere più avanti di ogni altro nel suo Tempo, ciò che Paolini ha magistralmente reso è la presenza viva, che risuona in ogni spirito libero.
Maurizio Baiata, 27 Aprile 2012
Bellissimo film “The forbidden planet”…
Penso comunque che i Krell non fossero molto “simili agli esseri umani”…
Morbius lo fa notare a Leslie Nilsen facendogli osservare la forma vagamente “triangolare” dell’accesso.
Ovvero potrebbero essere simili a “noi” ma in scala, ridotta cioè più piccoli.
“Prega” Maurizio perchè ho il terrore che in quel di Hollywood abbiano golosamente in mente un suo remake.
A presto.
Marco71.