Vi narro una pagina di musica italiana a Manhattan. Della data sono stato a lungo in forse. Ma ormai non ho più alcun dubbio, perché esiste un filmato che testimonia e definisce il tutto. Era il 30 Novembre 1987 e io ero nuovamente a New York, ma solo per un breve periodo, dopo averla lasciata per fare rientro in Italia un anno prima. Ci avevo trascorso sette anni e mi sentivo newyorchese d’adozione. Mi avevano informato che una nutrita pattuglia di musicisti napoletani avrebbe puntato alla Grande Mela per suonare nel tempio della musica Jazz Blues, il mitico Apollo Theater, sulla Centoventicinquesima Strada ad Harlem. Quel palco lo avevano calcato neri grandissimi quali Louis Armstrong, Aretha Franklin, Nat King Cole, Billie Holiday, Charlie Parker e Bob Marley.
Il concerto si intitola Harlem Meets Naples e, al di là dell’occasione di per sé straordinaria, serve a sancire l’unione fra radici etniche lontane, ma vive nel cuore di ogni musicista che sappia cosa è soffrire e comunicarlo con gioia.
Del gruppo di Napoli fanno parte Fausta Vetere, voce della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Edoardo Bennato, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, James Senese, Ernesto Vitolo e Rino Zurzolo.
Una macchina ritmica imbattibile, considerando le percussioni di De Piscopo ed Esposito e talenti portentosi che solo Napoli in quegli anni aveva potuto produrre e mettere insieme. Willy David organizza tutto, ma c’è lo zampino dell’infaticabile Giorgio Verdelli nell’imbastire la logistica, dietro la regia di Ruggero Miti per RAI3 le cui telecamere riprenderanno la serata all’Apollo. Io, devo fare da guida ai ragazzi per le strade della metropoli e parto da Roma con l’amico fotografo Fausto Ristori, che conosce a menadito la città ed è chiamato e immortalare il tutto. Per molti di loro è il battesimo americano.
Ci dividiamo in due gruppi, che scelgono diverse mete da visitare a Manhattan e a Brooklyn e sul finire della mattinata saliamo sull’Empire State Building il cui ascensore a razzo ci porta sino al terrazzo dal quale si domina tutta la città. A pensarci, in quel momento mi mancavano gli Osanna, per me fra gli dei del Progressive italiano, con la PFM, il Banco del Mutuo Soccorso e i Sensation’s Fix di Franco Falsini, il chitarrista che, al pari del tedesco Manuel Göttsching, sapeva portarti sino ai bastioni di Orione. Usciti da un antico mondo fiabesco fatto delle nostre radici più legate alla terra e proiettati verso un futuro che non esiste.
I ragazzi devono suonare davanti a una platea di soli neri – con James Brown, i Temptations e il trombettista Lester Bowie (che morirà nel 1999) con Don Moye e altri componenti dell’Art Ensemble of Chicago, punta dell’avanguardia Jazz, che si esibiranno prima di loro – e sono un po’ nervosi, sensazione palpabile e comprensibile. Sono autentici scugnizzi e si lanciano battute disarmanti una dopo l’altra, io da romano/newyorchese faccio la figura di quello che sa tutto e non capisce niente.

De Piscopo, al centro, Senese a sinistra e Lester Bowie a destra. Fotogramma tratto dal filmato realizzato da De Piscopo.
Pochi giorni prima –con Maurizio Mancini avevo incontrato Sue Mingus, la vedova del grande contrabbassista Charlie Mingus. Ero stato nella loro casa, mi ero seduto sul suo salotto, avevo visto gli strumenti di Charlie, avevo respirato la sua aria, avevo guardato dalla sua grande finestra che dava su un ampio giardino alberato, mentre Sue ci offriva un vero caffè espresso e con il suo squisito accento francese ci raccontava del marito e della sua Dinasty, il retaggio del Jazz più puro, la Musica per l’Anima. Credo che scrissi un articolo intitolato Una finestra per l’Anima e quando si parla di Musica si parla di Anima.
Quindi, attorno alle due del pomeriggio di quel giorno all’Apollo Theater, sono con i musicisti napoletani nel backstage, fra un camerino e l’altro. Nel line-up del concerto non sono gli unici bianchi: brilla anche la stella di Eumir Deodato, eclettico ed elegantissimo re del crossover latino del Funk. Insomma un crogiuolo di spiriti che vivono di ritmo allo stato puro… non facile riunire tutto questo in una serata.
Siamo in pausa dopo la prima prova che, a dire il vero, non è andata granché bene, per via della mancanza di coesione fra un pezzo e l’altro. Infatti, durante il concerto, sarà la jam session finale a esaltare, tutti insieme liberamente, alternandosi, incrociandosi con i neri alla grande e terminerà con Fausta Vetere e James Senese in piena Tammurriata di getto.
Nel camerino, in quel momento, tutti gli occhi però all’unisono puntano fatalmente su James Senese.
James è un nero napoletano, suona il sax, il solo soggetto giusto che possa avventurarsi per le strade di Harlem, ma non parla una parola di Inglese. Siamo nel cuore del quartiere “black only” della metropoli più cosmopolita del mondo. Qui sono ben accetti solo i neri, non vanno bene neppure gli Ispanici, figuriamoci gli Italiani. La comunità italiana di Little Italy, nella downtown di Manhattan, praticamente non esiste più, emigrata in massa a Brooklyn o nell’enclave ricca del Bronx e nelle ville sontuose di Long Island.
James intuisce e non si lascia pregare. “Vado io, aspettate qua!” Raccogliamo una ventina di dollari, li prende e parte, deciso. Torna dopo una mezz’ora con tre cartoni fumanti contenenti pizze di tutti i tipi. Dice: “Uagliò, quando sono entrato nella pizzeria mi sono guardato attorno ed era piena di gente e nessuno mi ha filato. Ho indicato a gesti che volevo delle pizze. Dal bancone mi devono aver chiesto qualcosa che suonava come ‘Fratello, perché emetti solo strani suoni?’ Mi sono fatto coraggio e qualcosa ho detto, che ero Italiano e, anche se sono nero non parlo Inglese, ma suono il sax. Hanno capito, si sono messi a ridere ed ecco qua le pizze”. Le fette di pizza erano buone. Ma la cosa più bella della due giorni partenopea ad Harlem è stata l’espressione felice di James Senese al termine della sua missione-pizza compiuta insieme ai suoi fratelli neri.
E, come testimonianza, al di là del ricordo che in questo caso è impossibile sbiadisca perché una cosa del genere non mi risulta si sia mai ripetuta nella storia della musica italiana, esistono le immagini, che ho scoperto con grande emozione stamattina cercando notizie utili a completare questo articolo. Tullio De Piscopo ha realizzato un bel documentario, montato con Martin Di Pietro, suddiviso in sei parti e caricato su Youtube, contenente i filmati e i dietro le quinte di questo storico evento.
Nella prima parte appaio anche io (con i capelli), ripreso all’ingresso dell’Apollo Theatre con Edoardo Bennato.
Le immagini sono qui: http://www.youtube.com/watch?v=ug0pqI2QcR4
Venticinque anni sono passati da allora. La musica di Harlem e di Napoli suona ancora.
Maurizio Baiata, 7 Aprile 2012
Mitico Maurizio…
Buona Pasqua.
Marco.
Con ritardo enorme, rispetto agli auguri, mi scuso. Un abbraccio, Marco