Agosto 1985. Questo è il resoconto del mio primo avvistamento UFO e la cronaca di un viaggio in Messico con due miei carissimi amici Italiani, uno dei quali ci ha lasciati appena pochi mesi fa, ucciso da un cancro.
In quel periodo vivevo ad Emerson, New Jersey, un’oasi di tranquillità lontana dalla frenetica Manhattan e a due passi dalla redazione del giornale (Il Progresso Italo Americano, per il quale ero redattore della pagina Cultura & Spettacoli, N.d.R.).
I miei amici romani avevano deciso di venirmi a trovare e, insieme, avremmo raggiunto il Messico per trascorre una vacanza di una settimana nell’isola di Cozumel, che un anno dopo sarebbe stata colpita da un maremoto che devastò tutta la penisola dello Yucatan. Maurizio, grande viaggiatore, ottimo fotografo, spirito da esploratore per mari e per monti e Fernando, ingegnere, mente matematica, razionale, con il quale eravamo stati compagni di banco al liceo.
Non ci vedevano da almeno cinque anni. Partimmo da New York alla volta di Cancun, breve viaggio aereo, meno di un paio d’ore. Nella caotica città balneare affollata di turisti americani ci saremmo fermati solo per una notte. Così la mattina dopo raggiungemmo Playa del Carmen, spiaggia bianca a perdita d’occhio e il molo d’attracco dei traghetti per Cozumel. Mare incantato, oceano sconfinato, sabbia finissima, la visione di Playa del Carmen.
Ciudad del Carmen è stata teatro di uno degli incontri ravvicinati più importanti della moderna storia ufologica, quello di Campeche, che nel 2004 vide l’equipaggio di un aereo della polizia militare messicana in perlustrazione anti narcotraffico, alle prese con una formazione di oggetti volanti luminosi registrati con la videocamera di bordo ad infrarossi.
A tutt’oggi il caso, suffragato dalle testimonianze dei militari che lo vissero in diretta e dalle immagini videoregistrate, resta inesplicabile e a nulla sono valse spiegazioni di rito per sminuirne l’autenticità. D’altra parte, il Messico, a partire dall’eclissi totale di sole del Luglio 1991, è divenuta la “terra del contatto” per eccellenza, con migliaia di avvistamenti e di incontri ravvicinati che ancora oggi si susseguono con continuità. Questo, però, allora non potevo saperlo.
Cozumel ci apparve di una bellezza brulla e selvaggia che mi avrebbe ricordato, anni dopo, Pantelleria, l’isola del vento fra la Sicilia e l’Africa, il nero rifugio roccioso per anime inquiete e spiriti imbelli, dove crescono e si coltivano capperi, origano e le viti danno nettare da 13 gradi in su.
A Cozumel, albergo per tre giorni, spiaggia, mute conversazioni con grosse e tranquille iguane e ristorantini, insomma vita da turisti. Un po’ noiosa, a dire il vero. Con Maurizio e Fernando, muniti di una mappa dello Yucatan, decidiamo di visitare l’interno e di arrivare al confine con il Belize. Per farlo, torniamo a Cancun e noleggiamo un maggiolino Volkswagen verde e senza tappo della benzina. Ci dirigiamo verso Tulum, città Maya che si erge su un costone roccioso a picco sul mare.
Una visione mozzafiato, restiamo alcune ore, in contemplazione delle monumentali opere Maya e del mare. Un ragazzo ci dice che se vogliamo vedere le vere rovine Maya, non prese d’assalto dai turisti, dobbiamo andare a Coba, nello stato di Quintana Roo. Coba, ci spiega, è la città morta dei loro antenati. Ci arriviamo nel tardo pomeriggio, dopo una cinquantina di chilometri a nord di Tulum sballottati su un’interminabile strada malmessa e siamo molto stanchi.
Il villaggio di Coba è poco più di un filare di case ai lati dell’unica strada, che punta dritta alla laguna. Il primo essere umano che notiamo è un indio che sbuca dalla vegetazione fittissima che avviluppa la strada. Indossa lunghi calzari, pantaloncini e a tracolla porta un machete che scende a sfiorare la terra. Sulle spalle ha dei serpenti, le sue prede di caccia. Le case sono erette su terra rossa. Non hanno porte. All’interno sembrano semi abitate, non vediamo bambini. Sappiamo che esiste un solo albergo. Immerso nella giungla e a poca distanza dalla zona archeologica, è a gestione americana, molto confortevole, di lusso coloniale. Chiediamo se c’è una stanza. Purtroppo no. Sfiduciati, torniamo indietro, sulla sola strada di Coba. Avevamo visto di sfuggita l’insegna della Posada Francisco. Una stanza c’è, a due letti e un’amaca. Alla Fantozzi, baldanzosamente esclamo: “Ci dormo io!”. Mal me ne incolse. Per cena la trattoria offre – nella saletta da pranzo dove una coppia di giovani tedeschi sgrana gli occhi nel vedere tre italiani – gallina bollita in una cuccuma enorme e tortillas. Perfetto. Alla fine, la mamma di Francisco ci chiede se vogliamo assaggiare il Mezcal fatto da lei. Ci serve il liquore distillato dall’agave in minuscole brocche di ceramica. Una a testa.
Francisco ci spiega che un tempo Coba era una grandiosa città della civiltà pre-colombiana Maya, con decine di migliaia di abitanti. Andarono via. Sparirono improvvisamente e misteriosamente. I Maya di oggi pensano che i loro antenati si siano ritirati nel sottosuolo, in caverne e gallerie sotterranee, sotto la laguna e oltre. E lì vivrebbero ancora. Il sito di Coba si estende per una cinquantina di chilometri. Nel 1985 Coba non era segnata sulle mappe turistiche e l’intendenza alle antichità del Messico non se ne curava affatto. Ma Francisco ce ne decantava le meraviglie: la città, risalente al 600 A.C. era sepolta nella giungla. L’avremmo visitata da soli il giorno dopo, Francisco aveva altro da fare, ma per la sera, al termine della frugale cena ci consigliò di andare alla laguna, per assistere allo spettacolo delle stelle cadenti.
Dovevamo inoltrarci lungo un sentiero che portava sino alla laguna e ci disse di fermarci prudentemente almeno a una decina di metri dall’acqua, abitata dagli alligatori e il terreno diventava fangoso e infido. Lo specchio d’acqua era nero, lucido, in alto il cielo era pieno di stelle. Nessuna luce intorno. Silenzio totale. Ci sediamo e non ricordo di cosa si parlava, mentre contavamo distrattamente le stelle cadenti.
Improvvisamente, dalla destra della volta celeste a noi visibile, una luce intensissima sfreccia verso il centro del cielo… una stella cadente, pensiamo. Non proprio. Brilla, ma è lenta e a un certo punto si ferma, restando immobile per qualche istante e poi inizia a scendere a una velocità impossibile da stimare, a perpendicolo verso terra. Scende e diviene più splendente. Scende, mentre vediamo altre stelle che percorrono il cielo e in un guizzo scompaiono, quella invece continua il suo lento percorso verso di noi. La cosa straordinaria è che non fa impressione, non genera alcun moto di timore in noi, solo la meraviglia di seguirla con gli occhi.
Ancora una manciata di secondi e la luce gradualmente rimpicciolisce sino a divenire una sfera luminosa di piccole dimensioni. Ora scende più velocemente e arriva a pelo d’acqua e con un guizzo finale, vi entra, senza sollevare spruzzi, come inghiottita magicamente. L’acqua si illumina tutto intorno per una decina di metri, poi la sfera emerge dall’acqua, sosta per un istante sulla superficie e schizza via tornando in cielo e svanendo al nostro sguardo. Restammo ammutoliti e, secondo me, si era stabilita una forma di contatto con una forza aliena, perché il Tempo era sospeso. Ed ebbe inizio uno show celeste che non dimenticherò mai. Altre luci apparivano alte nel cielo stellato, si fermavano e poi scendevano verso la laguna di Coba seguendo la stessa dinamica: arrivano, si tuffano, restano sott’acqua, ne escono e schizzano di nuovo verso l’alto. Ne contai almeno dieci, forse quindici. Sinceramente, in quel momento, razionalmente, non capii cosa avessimo visto. Però il mio ricordo, nel tempo, non è mai cambiato. Quello dei miei amici sì. E questo rientra nel meccanismo del contatto visivo con gli UFO, in ragione della percezione che ciascuno di noi ha in quei momenti, mutevole e diversa da persona a persona. Ma, soprattutto, in ragione di ciò che altre intelligenze hanno in serbo per noi e decidono di elargirlo manifestandosi sotto le più svariate forme, stabilendo modalità di contatto a variabili infinite. Per noi, fu un evento che vivemmo in modo naturale, nulla di sovrannaturale, apparentemente… poi il tempo avrebbe elaborato diversamente le nostre rispettive percezioni.
Dopo alcuni minuti, in silenzio, ci riavviammo verso la posada di Francisco. Non facemmo parola di ciò che avevamo visto. Raggiungemmo la nostra stanza e, come accennato, avevo detto di voler dormire sull’amaca. Era molto tardi, forse le due del mattino. Ora, sono pressoché certo che fummo protagonisti di un episodio di “missing time”, perché il tempo trascorso fra il nostro arrivo alla laguna verso le 22 e il nostro ritorno nella stanza verso le 2 del mattino era di circa 4 ore, ma noi vivemmo coscientemente un’esperienza di non più di 40 minuti, sul bordo del lago di Coba. C’era molta umidità ed eravamo intirizziti e stanchi dal viaggio di quel giorno. Qualcosa, dunque, avvenne, ma non ce ne rendemmo conto…
Le strade della vita mi divisero per sempre dai miei amici. Sentivo Maurizio Villanacci ogni tanto, telefonicamente. Si era sposato ed era felice con la moglie e i suoi due bambini a Canale Monterano, una quarantina di chilometri di Roma. Lavorava ancora come agente di vendita per una grande azienda italiana, ma amava trascorrere tutto il tempo con i suoi adorati figli e i suoi cavalli. Lo andai a trovare, in moto, un paio di volte. Gli chiesi se ricordava quella notte a Coba. Mi risponse, “Ma, sì vedemmo qualcosa, perché cosa pensi che fosse?” – “Erano UFO, fratellino”. “Non so – rispose Maurizio – eravamo troppo stanchi e quel goccio di Mezcal forse ci aveva fatto vedere delle cose strane”. Replicai che non era così, che il Mezcal in così minima quantità non poteva aver provocato alcun effetto allucinogeno e che neppure ne avessimo bevuto un barile avremmo visto entrare e uscire le luci nel laghetto di Coba, in tre. Ero convinto di aver visto gli UFO. Maurizio mi lasciò, sorridendo un po’ sornione, come faceva sempre, conscio del fatto di avere un amico toccato nel cuore da qualcosa di profondo e di alieno. Fernando, l’ingegnere, invece mi ha sempre detto di non ricordare nulla di quelle luci. Alle mie rimostranze, ha sempre risposto con aria interrogativa, benevola, ma scettica ad oltranza. Opinione rispettabile, la sua, come quella di migliaia di altre persone. Eppure io sono certo che anche lui vide. E che il processo di contatto e di rimozione avviene secondo regole che ancora non conosciamo.
Maurizio Baiata, 13 Dicembre, 2011
Tratto dal libro “Gli Alieni Mi Hanno Salvato La vita” (cap. 6)
Salve Maurizio.
Mi ha incuriosito molto l’inciso afferente l’avvistamento di Campeche del 2004, ritenuto, a tuo dire, ancora inspiegabile nonostante le “spiegazioni di rito per sminuirne l’autenticità”.
Tra tali spiegazioni, vorrei chiederti se è annoverata anche questa approfondita indagine che svelerebbe, invece, in modo abbastanza chiaro (a mio avviso) la natura di quell’avvistamento. Ti riporto i link:
http://www.alcione.org/FAM/FLIR_MIRE_ES.html
http://www.alcione.org/FAM/REFERENCE_DATA.html
Che ne pensi della spiegazione data? Qualora non la condividessi potresti gentilmente chiarire il motivo?
Grazie, saluti.
Ciao Insider, ti rispondo se ti qualifichi con nome e cognome, questa e’ la regola qui.
Non avevo letto questa regola. E’ sottintesa per me o per chiunque faccia domande un po’ più articolate? Pazienza, va bene così.
Non e’ affatto sottintesa. Qui non siamo in un Forum nel quale chiunque, protetto da anonimato, puo’ dire cio’ che vuole senza che io sappia – appunto – con chi sto interagendo per iscritto. Qui siamo nel mio blog e la regola vale per tutti. Grazie, dunque, perche’ mi hai dato la possibilita’ di ricordarlo. Per il resto, puoi anche fare a meno del tuo paziente sarcasmo.
Salve Maurizio, la seguo da anni essendo un suo ammiratore, la ritengo uno dei più grandi esperti di ufologia nel nostro bel paese.
Penso che la domanda dell’intraprendente Insider sia comunque meritevole di risposta, quindi diciamo che glie la ripropongo io… a si dimenticavo il nome ed il cognome, ecco: Pinco Pallino, dove Pinco è il nome e Pallino (per esclusione) è il cognome.
Resto in fiduciosa attesa e altresì la ringrazio per l’attenzione e per questo fantastico blog.
Insider mi ha posto una domanda sul caso Campeche, caro Pinco Pallo. Visto che siete amici, parlatene fra di voi e, trovandovi d’accordo sulla soluzione, postate dove volete un articolo che ne riassuma ragioni e contenuti. Giusto? Cosi’ divulgate la vostra verita’.