Sembra uno scenario da film su un’Apocalisse prossima ventura, ma non lo è. Per esporlo, si rende necessaria una premessa riguardante la posizione del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama su Israele. Durante le schermaglie con Hillary Clinton nella campagna per le presidenziali, già nel Maggio 2008, Obama si espresse chiaramente sulla necessità di garantire sempre ad Israele tutto il possibile supporto, morale, logistico e materiale in caso di guerra. Il futuro Presidente giocò le sue carte sapientemente, rispetto all’agguerrita “contender” che, va ricordato, portò avanti la stessa linea di Obama.
Su Israele, i due candidati democratici andavano a braccetto. Entrambi sapevano perfettamente che, al di là delle questioni interne e propriamente in tema di politica internazionale, per assicurarsi sia i voti della propria compagine, sia per far scivolare verso di sé anche i consensi imburrati dell’elettorato conservatore, si doveva reiterare a voce alta che mai gli Stati Uniti avrebbero dovuto discostarsi da una politica che riconoscesse il concetto di uno Stato Ebraico come “fondamentalmente giusto” e l’impegno alla tutela di Israele “non negoziabile”. Una dichiarazione di intenti inequivocabile. Ad eccezione di Jimmy Carter, i balletti dei negoziati di Israele – promossi dagli USA – con Hamas, o con le autorità Palestinesi e i portavoce degli Stati Arabi vicini a Gerusalemme, tali si sono dimostrati a prescindere che ai vertici del Congresso a Washington ci fossero i Democratici o i Repubblicani. In sostanza, la posizione degli USA rispetto alla questione palestinese non è mai cambiata, sia sotto l’amministrazione di Bill Clinton, sia sotto quelle dei Bush padre e figlio. Assicurare quindi incondizionato supporto militare ad Israele, appare un marchio indelebile nel genoma degli USA. Un sigillo ultradecennale di un’alleanza innestata nel tessuto sociale, economico, finanziario, industriale e militare americano.
Vivendo fra il 2009 e l’inizio del 2011 negli Stati Uniti, ho constatato de visu che tutti gli elettori, indistintamente dai loro gagliardetti, si sono pienamente resi conto del legame a doppio filo fra Israele e gli Stati Uniti d’America e relative implicazioni e immaginabili conseguenze. Non si deve essere cospirazionisti alla David Icke per coglierne la portata. Piuttosto, l’interrogativo che ci dovremmo porre riguarda le prospettive internazionali e in particolare quelle europee – con la Gran Bretagna e i Paesi NATO in testa – poi, ancor più da vicino, con l’Italia, che nel Mediterraneo ha un suo peso specifico rilevante.
Nel gioco degli Scacchi, i pezzi devono essere disposti in modo giusto prima di sferrare un attacco che porti allo scacco matto. Spesso ci si deve armare di pazienza e attendere, più spesso si fanno mosse provocatorie che inducano l’avversario all’errore, a scoprirsi, rendendolo vulnerabile. Siamo, a mio avviso, in questa situazione e le notizie che stiamo ricevendo lo dimostrano. Riprendo per questo un commento di Beppe Grillo apparso sul suo blog lo scorso 3 Novembre. http://www.beppegrillo.it/2011/11/la_terza_guerra_mondiale/index.html?s=n2011-11-03
Questo il testo di Beppe Grillo:
La Terza Guerra Mondiale
Il Guardian di Londra e il New York Times ipotizzano nei prossimi mesi un attacco all’Iran da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna. Si prevedono intensi bombardamenti aerei, il lancio dalle portaerei di missili Tomahawk, che colpiscono un obiettivo nel raggio di 1.287 km, e gruppi di intervento sul territorio. La Gran Bretagna avrebbe già dato disponibilità di una base nell’Oceano Indiano (Diego Garcia, già usata dagli Americani nei precedenti conflitti mediorientali, N.dR.). L’urgenza dell’attacco sarebbe dovuta al fatto che l’Iran renderà presto impossibile distruggere i siti nucleari, trasferiti in bunker fortificati. Il programma nucleare iraniano aveva subito un forte rallentamento dopo il cyber attacco via Rete effettuato sulle macchine presenti nei suoi laboratori dal virus Stuxnet, attribuito a Israele e agli Stati Uniti. Metà delle centrifughe fu messa fuori uso, ma, dopo l’identificazione del virus, il programma è ripreso a pieno ritmo. L’Iran dispone di uranio arricchito sufficiente per realizzare quattro bombe nucleari. Nessuna delegazione internazionale ha però dimostrato che Teheran abbia altri scopi per il nucleare che non siano civili. Gli Stati Uniti stanno stringendo i loro rapporti militari con i governi “amici” nella regione: Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Oman, Kuwait e Qatar.
Un attacco all’Iran equivale a una dichiarazione di guerra alla Cina che questa volta non rimarrebbe indifferente come in Libia, con cui aveva preso accordi per il petrolio. Nel 2007 il post “Petrolio e terrorismo” del blog riportava: “Chi controlla il Golfo Persico, dove sarà estratto il 30% dell’intero fabbisogno mondiale, controlla l’energia e chi controlla l’energia controlla il pianeta. La richiesta crescente di energia (la sola Cina passerà dagli attuali 7 milioni di barili al giorno a 16, 5 milioni nel 2030) coinciderà con la concentrazione dell’estrazione di petrolio nel Golfo Persico.” L’attacco all’Iran, per molti osservatori, può essere la premessa alla Terza Guerra Mondiale. La Cina, grazie a un accordo con Islamabad, è presente dal 2011 nella base militare pakistana di Gwadar che si aggiunge alle basi nell’Oceano Indiano in Bangladesh, Birmania e Sri Lanka. Gwadar permette alla Cina di presidiare le rotte del Golfo Persico percorse dalle sue petroliere. Sia la Cina che il Pakistan sono potenze nucleari. Attaccare l’Iran è come gettare un fiammifero in un pozzo di petrolio. Dio non gioca a dadi, ma Obama forse sì. Con la nostra pelle.
L’articolo del quotidiano britannico The Guardian, sintetizzato e commentato da Beppe Grillo, è consultabile qui: http://www.guardian.co.uk/world/2011/nov/02/uk-military-iran-attack-nuclear
Delle conclusioni di Beppe Grillo colpisce soprattutto lo spauracchio del “pericolo giallo”. Nell’era moderna della comunicazione globale, tutti possono dire qualunque cosa, avanzare ipotesi azzardate, preconizzare scenari apocalittici. Anche che la Cina potrebbe intervenire in caso di un confronto tra Israele e Iran. Dal che deriverebbe un conflitto di portata globale, tra Oriente e Occidente. Le guerre, ordite dai servizi segreti e gestite dagli apparati militari nutriti dalle industrie degli armamenti, si fanno per meri interessi economici e la Cina, indubbiamente, rappresenta un mega impero la cui espansione economica negli ultimi decenni ha assunto proporzioni impressionanti. Il mondo occidentale ha assistito a questa crescita sia all’interno delle Nazioni che hanno aperto i loro confini alla massiccia immigrazione cinese, sia sul piano tecnologico, con Pechino che non solo ha già ampliamente collaudato la sua politica di esplorazione e militarizzazione spaziale, ma persino il proprio dislocarsi, in termini di difesa, su nevralgici territori di nazioni anche lontane, come l’Italia. Viene da chiedersi, infatti, il reale significato della notizia, pubblicata anch’essa il 3 Novembre, che riportiamo di seguito:
Titolo:
Si riparla dell’aeroporto ad Enna
La Cina è pronta a finanziare l’opera con 300 mln.
Centuripe – Piste di atterraggio lunghe oltre 5 km per un costo stimato di 300 milioni di euro. L’aeroporto cinese dovrebbe nascere nel centro della Sicilia e permettere l’atterraggio di voli intercontinentali commerciali dalla Cina nel cuore del mediterraneo. In anteprima nell’inchiesta di Rainews24 la ricostruzione del progetto che la Cina è pronta a finanziare. L’aeroporto è stato progettato nel comune di Centuripe in provincia di Enna a pochi km da Catania dove già è in funzione un aeroporto civile ed a pochi chilometri dalla base aerea di Sigonella, gestita dalla marina statunitense e dall’aeronautica militare italiana.
Questa vicinanza ha preoccupato il segretario di stato americano Ilary (sic) Clinton che, nel suo ultimo viaggio a Pechino, avrebbe già chiesto spiegazioni su questo progetto al Governo Cinese. Ma i timori non riguardano solo la vicinanza in Sicilia delle due superpotenze, ma anche il ruolo che il crimine organizzato siciliano potrebbe svolgere in questo progetto. L’allarme viene dato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia.
Lo scenario del quale abbiamo accennato in apertura potrebbe delinearsi dunque come segue, ponendolo al momento in un’ottica non nucleare, ma non di sola fantapolitica. Tra Israele e Iran si innesca il conflitto. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Europa sotto il segno della NATO intervengono a fianco di Israele. La Cina e i Paesi islamici intervengono a fianco dell’Iran. La Russia potrebbe restare a guardare, conscia di avere tutto da perdere se si dovesse schierare opponendosi alla Cina. Se Israele dovesse soccombere, verrebbe meno l’ultimo baluardo che ancora si erge a difesa degli interessi delle potenze occidentali, in primis il controllo strategico del Mediterraneo, che diverrebbe il teatro di guerra più importante. Le conseguenze più devastanti riguarderebbero i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum che, una volta posti sotto controllo, costituirebbero la piattaforma per un attacco alla Gran Bretagna e, conseguentemente, agli Stati Uniti. E il confronto a quel punto diverrebbe nucleare.
Maurizio Baiata (8 Novembre 2011)
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