Inizio a ripercorrere alcune storie di un lontano (ma non troppo) passato musicale, riportando alla luce le note di copertina da me scritte per l’album del Perigeo “Abbiamo Tutti un Blues da Piangere”.
Scrissi il testo subito dopo aver ascoltato la “lacca” del disco, appena registrato negli studi della RCA di via Tiburtina, a Roma, dove lavoravo nel settore Marketing International. Ebbi la fortuna di conoscere bene Giovanni Tommaso, Tony Sidney, Bruno Biriaco, Claudio Fasoli e Franco D’Andrea, componenti di un gruppo che, a mio avviso, resta insuperato nel settore Jazz Rock/Progressive italiano dei primi anni Settanta. Fu un grande onore essere al loro fianco durante due tour che ci portarono in tutta Italia, per il lancio del disco nel 1973. Erano giorni di fuoco per il Rock, ogni concerto minacciato da possibili scontri e fuochi di rivoluzione… ma con il Perigeo andò sempre tutto magnificamente. Erano troppo bravi. Magica la loro musica. Ecco cosa scrissi sulle note:
La musica come specchio di un ordine regolante tutte le cose; la musica che, secondo precise leggi, avrà termine e quindi comincerà da capo; la musica vincolata dalla misteriosa matematica dei suoni. È un’idea che vorremmo non esistesse, giacchè preferiamo pensare ad una qualsiasi espressione artistica come cosa libera e pura, ma che per secoli ha giustificato il lavoro dei musicisti, un’ipotesi che ancora aiuta a comprendere la vita e gli sforzi; cioè l’esistenza di un ordine è oggi necessaria in funzione delle nuove forme sonore che andiamo scoprendo, perchè la musica non è più ferma alla sciocca contemplazione di se stessa, è progressione ed esplorazione, sogno ed incubo, una realtà in continuo divenire. Si muove verticalmente e orizzontalmente ora, e dissacra, striscia dappertutto a cavallo della scienza e della fantasia: è arte e realtà di conoscenza ad un tempo. Secondo quest’ottica la musica deve sopratutto essere colta sia emozionalmente che intellettualmente, mediante una metrica che prima renda valide le sensazioni individuali, poi le rielabori attraverso una tipologia di linguaggio.
È il problema della coesistenza fra jazz e rock. False teorie storicistiche inducono a credere che non esiste correlazione fra le due matrici, che il connubbio sia utopistico: ed i Perigeo giungono a dissolverle con i fatti del suo linguaggio ormai universale. Ragioni elitistiche attribuiscono al jazz origini diverse, meno “volgari”: ma i Perigeo ci dimostrano che la carne ed il sangue dei suoni sono gli stessi. Eppure questo gruppo non ha il dono dell’obliquità e della spazialità assoluta, ma la sua musicalità vuole essere il riflesso di un pensiero amplissimo, pure informe e caotico a tratti, che la ricerca “dell’armonia totale” si ottiene a volte per le strade meno consuete: è dunque un urlo gettato in faccia alla negatività di tutta la musica “scolastica” e pedissequia fino alla deficienza. La struttura pentagonale dell’organico, il polistrumentismo dei singoli, l’osmosi fra jazz-rock ottenuta attraverso la disgregazione dei ritmi e dei cervelli, gli sforzi dei singoli all’interno di un discorso perfettamente corale: sono questi i sintomi della nascita di una nuova indagine sonora, di una cultura chiamata “elettroacustica”. Dove con questa definizione non andiamo a spulciare semplicemente fra i solchi di questa musica, ma perchè ci accorgiamo naturalmente che le cose stanno cambiando e non solo nel substrato ritmico, piuttosto nell’essenza della nostra “vecchia” musica moderna. L’elettroacustica è il simbolo armonico dei nostri giorni, ne è la sconvolgente parafrasi in note, uno specchio-pentagramma straordinario e allucinante, la bellezza anche vigorosa e sincera: i Perigeo sono il primo serio tentativo su questa dimensione. Quello che si ascolta è infatti continuamente teso, contratto verso la riflessione dei suoni, e qui l’iterazione dei ritmi percussivi e pianistici è una costante fondamentale, lanciato verso atmosfere pure e terse o parossistiche e tribali, e questo perchè il tutto subisce le striature di una sottile vena bluesistica, il blues come punto di partenza di gran parte della moderna armonia. Ma nei solchi si vede l’idea stessa del coraggio, non il solito, sbiadito riflesso di esso, anche se alcuni passaggi statici sono presenti, giacchè a volte la progressione dei timbri e dei toni propri del gruppo vorrebbe giungere all’esplorazione finale, all’esplorazione del nulla armonico (che non esiste), al non-suono se vogliamo; questo gli è negato dal desiderio sincero di non fare dell’aristocrazia per giovani musicofili e dalla consapevolezza di rifuggire da quella facile “non comprensibilità” nella quale si trincera l’artista mediocre. L’esistenza dei Perigeo è semplicemente giusta.
Maurizio Baiata, 1973 (note di copertina, “Abbiamo tutti un Blues da piangere”)
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