Nel 2009 ho potuto visitare alcuni luoghi del New Mexico che nel 1947 videro accadere qualcosa di incredibile e ho assistito a un memorabile concerto dei padri della psichedelia californiana.
La maggior parte degli ufologi internazionali ritiene che a Roswell, nel 1947, avvenne un incidente che coinvolse uno o più oggetti non identificati, i cui relitti e relativi occupanti non umani vennero recuperati dall’Esercito americano.
In realtà la cittadina di Roswell, nel mezzo del deserto del New Mexico, fu teatro di diversi incidenti, in una sequenza che mise a dura prova gli apparati militari statunitensi che se ne occuparono e, conseguentemente, il sistema governativo che decise di mettere a tacere tutto. A partire dalla notte fra il due e il tre Luglio la regione fu investita da un violentissimo temporale e strani bagliori di luce apparvero nel cielo… chissà, forse quei dischi volanti impattarono in una “tempesta magnetica” e il destino dei loro equipaggi fu segnato per sempre.
Un testimone, l’ingegner Grady Barnett giurò di aver visto un oggetto sconosciuto semi conficcato al suolo, a ridosso di un costone roccioso della Piana di San Augustin, nei pressi di Socorro. Nella zona di Corona, invece, su un grande campo del Foster Ranch, l’allevatore Mac Brazel rinvenne stranissimi rottami e due ufficiali dell’intelligence del 509° Stormo Bombardieri di Roswell giunsero sul posto per indagare e raccogliere il possibile. Ogni traccia degli incidenti scomparve per sempre. Quel luogo però resta soprannominato “The Debris Field”.
Come sempre, l’edizione 2009 del Roswell UFO Festival ha raccolto in questa cittadina nel bel mezzo del deserto del New Mexico migliaia di persone. Per me, è stato il coronamento di un sogno durato più di 20 anni , da quando iniziai a occuparmi dell’incidente avvenuto nel Luglio 1947, convinto oggi come allora che avvenne realmente e che le autorità americane decisero di seppellirlo, sperando che la polvere si accumulasse su questa storia sino a cancellarne ogni traccia. Così non è stato. E Roswell non è un mito, come ancora qualcuno crede di poter dire in Italia, né leggenda. È invece una comunità (allora rurale) protagonista di una vicenda serissima, che creò gravi implicazioni per gli USA e che alcuni testimoni, gli ultimi superstiti, sono ancora oggi in grado di ricordare e di confermare.
L’incidente è una fondamentale fonte di sostentamento per la città, considerando che, come mi ha confermato Julie Schuster, curatrice e proprietaria dell’International Roswell Museum, quasi mezzo milione di persone la visitano ogni anno. Roswell è tutta nella Main Street, sulla quale si affacciano negozi, bar, ristoranti, alberghi e che il sabato ospita la “Alien Parade” prima della chiusura del Festival. Per un giornalista che si occupi di UFO c’è molto da fare, tante persone da incontrare e luoghi da visitare. Sì, è un festival, ma soprattutto una serie di conferenze organizzate dal MUFON, la più autorevole organizzazione di studi ufologici americana e dal Museo, purtroppo in competizione tra loro.
Il Viaggio
Partito da Phoenix, Arizona, nel pomeriggio del primo Luglio arrivo all’aeroporto di Albuquerque, capitale del New Mexico, per l’appuntamento con la collega giornalista italoamericana Paola Harris, Jesse Marcel Jr.,
l’inglese Nick Pope e il portavoce del MUFON Alejandro Rojas. Si mangia presto la sera, negli Stati della Costa Occidentale e su consiglio di Paola ci rifocilliamo prima di affrontare i circa 300 chilometri che separano Albuquerqe da Roswell. Ahimé, abbiamo preso la direzione sbagliata e ce ne siamo resi conto solo una settantina di chilometri dopo, quando Paola ha esclamato, “Ma qua andiamo in California!” e così pazientemente siamo ripartiti per la nostra meta giusta, percorrendo una interminabile highway all’imbrunire. Deserto, niente di niente, paesini semi abbandonati e il Clines Corners, un enorme posto di ristoro e mecca per gli amanti di ammennicoli e gadget del vecchio West americano, che troviamo chiuso per le festività dell’Indipendenza. Arriviamo in albergo a Roswell verso le dieci di sera. La mattina dopo, mi attende una visita al Foster Ranch, il famoso campo dei rottami.
Il Foster Ranch
Guidato dagli esperti ricercatori Chuck Zukowsky e sua sorella Debbie Ziegelmeier (direttore delle investigazioni del MUFON Missouri), sono con Jesse Marcel Jr. e Matt Morgan, operatore la cui videocamera testimonierà tutto. L’escursione la facciamo a bordo della grossa Nissan 4×4 di Chuck, passato alle giapponesi dopo decenni di Jeep americane. Chuck e Debbie conoscono la zona a menadito. Jesse Marcel Jr. qui non c’è mai stato. È emozionato e durante il viaggio lo bombardiamo di domande. L’avvicinamento al Foster Ranch dura più di due ore: dopo strade asfaltate, percorriamo un primo lungo sterrato e ci affidiamo al fiuto di Chuck e Debbie per seguire un sentiero invisibile e impraticabile. Quasi una pietraia che si allunga per due, tre miglia sino al punto di riferimento, un mulino del quale resta solo un traliccio sgangherato. Siamo a circa 70 miglia a nord di Roswell.
Il primo stop lo facciamo al famoso capanno degli attrezzi, un tempo in legno e oggi in muratura, affiancato al corral, il recinto per gli animali. Il maggiore Jesse Marcel e l’agente del CIC (controspionaggio) Sheridan Cavitt trascorsero in quel capanno la notte fra il 3 e il 4 Luglio 1947. Con Jesse Marcel Jr. ci avviciniamo ai recinti. Il filo spinato è dell’epoca. Il panorama lo stesso di sempre. Dopo le foto di rito, ripartiamo e arriviamo a quello che Chuck e Debbie ritengono sia il campo dei rottami. Secondo le testimonianze, che costituiscono l’impalcatura teorica del primo impatto sul Foster Ranch, qui un oggetto volante alieno planò, rimbalzò sul terreno e riuscì a riprendere quota, per andare poi a schiantarsi altrove (a ridosso del costone roccioso della Capitan Mountain e/o la zona di Corona), ma questa è un’altra storia.
Il campo dei rottami
Nel 1947 Mac Brazel era solito pascolare il suo gregge di pecore nel Foster Ranch. La mattina del 3 Luglio Mac trovò il campo cosparso di strani rottami. La storia umana dell’incidente di Roswell ha inizio in quel momento. Brazel ebbe l’infelice idea di informare della cosa lo sceriffo conteale di Chaves, George Wilcox e la notizia pervenne alla base di Roswell. Il colonnello Blanchard incaricò Marcel e Cavitt di recarsi al Foster Ranch. Sul posto, raggiunto a bordo di una jeep e dell’auto di Marcel, trovarono una quantità indescrivibile di rottami metallici e di altro materiale, simile a balsa. La certezza assoluta che il sito indicato da Zukowski sia quello giusto non si ha ancora, ma mettendoci piede ci si accorge subito che il luogo corrisponde alle caratteristiche e alle descrizioni testimoniali. Don Schmitt, Tom Carey e il team archeologico che vi hanno lavorato per oltre dieci anni ne sono convinti. In seguito alle operazioni di scavo condotte nel 2002 e nel 2006, supervisionate dall’archeologo Bill Doleman e sponsorizzate da Sci-Fi Channel e dalla NBC, nulla di “alieno” o anomalo è stato trovato.
È un’area di circa 500 metri in lunghezza e trecento in larghezza, protetta da una bassa collina, dove l’UFO potrebbe aver impattato, per poi scendere repentinamente, toccare il suolo creando una larga infossatura (colmata di terra dai militari che operarono la bonifica setacciando tutto) e poi riprendere quota. Ci restiamo più di due ore, sotto il sole. Si parla, si discute, si fanno congetture, si guarda a perdita d’occhio verso la Capitan Mountain, si immagina cosa possa essere accaduto. Ho registrato tutte le conversazioni su audiocassetta che spero di sbobinare presto. Marcel ha ormai ha passato la settantina, per camminare si aiuta con calzari adduttori, ma non sta fermo un attimo e posso immaginare i mille interrogativi che si sta ponendo, immedesimandosi nel padre…
Nella mia mente vedo il maggiore Marcel raccogliere quanti più rottami possibile… il figlio ricorda che quella notte quando il papà arrivò a casa per mostrarli a lui e alla mamma, la sua Buick era stracarica di strane cose, che occupavano anche i sedili posteriori.
L’Astronave Jefferson
A scrivere mi vengono i brividi, ho cercato di trattenere le lacrime durante la prima parte del concerto, ma a fatica. Accanto a me erano seduti Travis Walton e la moglie Dana. Chi sia addentro alle questioni ufologiche può immaginare come mi sentissi, a vedere e ascoltare per la prima volta nella mia vita dal vivo i Jefferson Starship con Travis a pochi centimetri di distanza! E nella notte del 4 Luglio, dedicata all’arrivo degli ET di Roswell, nulla di più fantastico, torrenziale, magico e magmatico poteva accadermi a conclusione del mio viaggio. Lo dico come essere umano uomo immerso in una sala teatrale insieme a trecento altre anime, molte della mia età. Due file dietro di noi, lui sui 55, capelli argento lungo le spalle e lei sui 25, bionda e graziosa che urlava come una pazza durante tutto il concerto, a ogni svisata. Mi sono chiesto: padre e figlia? O stanno insieme? Non importa. Il bello è che due generazioni erano lì e tutti all’unisono, vibravano alle note dell’astronave.
Uno spettacolo incredibile, che avrei voluto condividere con tutti voi. Mi chiedo da quanti anni la Starship non atterra in Italia, e, se sono tanti, mi auguro che possa trovare un angolo di spazio tempo e arrivarci, prima o poi. Apertura con “Crown of Creation” e capisco subito che aria tira, acustica e cantata, suono attutito, ma è l’incipit dell’era di Woodstock e poi un medley di brani dedicati al viaggio nel cosmo, con in testa “Space Oddity” di David Bowie, che precedono l’entrata in scena di Paul Kantner, da sempre leader della formazione. Dei componenti, in tutto undici, posso dire di Cathy Richardson, che ha sostituito la mitica Grace Slick e David Freiberg, un tempo bassista dei Quicksilver Messenger Service e di Kantner, ora seduto la chitarra adagiata sulle ginocchia. Gli altri, più giovani e scelti da un’urna piena di schede psichedeliche, non li conosco, ma l’insieme è potente, pura espressione del rock acido californiano degli anni Sessanta. Sembrava di avere contemporaneamente Jefferson, Grateful Dead e Quicksilver insieme sul palco, con pezzi talmente monumentali da poterti solo sopraffare, implodere dentro e poi rispedirti su in cielo. Il crescendo dai primi album degli Airplane si snoda da tutto “Surrealistic Pillow” sino alla saga galattica di “Blows Against the Empire”, per sciogliersi verso il finale con l’inno trionfale di “Somebody To Love”. Non faccio più il critico musicale, oggi il mio mestiere è un altro, studio e scrivo di UFO e di ET, di esseri che ci vivono accanto ogni giorno, che respirano la nostra stessa aria, che sono qui con noi, scrivo e non so che altro dire per spiegare cosa ho provato. Dovevo venire in America, arrivare a Roswell e sentire l’Astronave Jefferson che decollava nel mio cuore. Sono un uomo fortunato.
Maurizio Baiata (Luglio 2009 – revisione Novembre 2011)
Bellissimo diario e racconto Maurizio.
Il “veicolo” di origine non terrestre (questo e` l`assunto da cui si parte di solito quando si parla dell`evento verificatosi a Roswell) potrebbe aver avuto degli squilibri proprio in cio` che solo oggi la scienza terrestre ha definito come sistema propulsivo a conversione diretta di materia in antimateria.
Il fatto che in quel periodo nel/sul teatro degli avvenimenti imperversassero dei violenti temporali mi induce a pensare (anche questa possibilita` e` contemplata solo oggi dalla “nostra” scienza) che si sia prodotta negli strati medio alti della atmosfera una grande quantita` di antimateria.
Cio` nonostante ho ancora dei dubbi sul perche` un sapere che ha permesso loro di arrivare sin qui non solo da altri sistemi stellari ma addirittura e possibilmente da altri Universi “confinanti” con il “nostro” non sia stato in grado di computare anche questa possibile evenienza ovvero che una volta all`interno del mondo fisico terrestre si sarebbe potuto destabilizzare il loro nucleo centrale di propulsione.
Proprio di recente ho visto un film sull`argomento con Martin Sheen.
In esso si postula che prima dell`impatto una porzione di eiezione si sia separata dal sistema principale.
Nel film si parla ovviamente sia della barra “metallica” con iscrizioni in pseduo geroglifico (una connessione con gli antichi egizi ?) e del materiale a memoria di forma molto anch`esso ante litteram per la nostra scienza.
Temo che anche se il sito fosse quello “giusto” per cosi` dire molto sia stato fatto per addirittura sostituire il terreno per una profondita` di svariati centimetri.
Grazie.
Marco71.
Gran colpo..!Per la durata della lettura mi sembrava di sentire il caldo del deserto e la polvere sul viso!Il gruppo non lo conosco,mi informerò,il resto mi affascina come nessun altro argomento è capace di fare!
Ivan.
mi hai commosso! un abbraccio grande maurizio!